martedì 21 aprile 2009

I SASSI - Recensione

FONTE - a cura di Simonetta De Bartolo

I sassi, titolo che Sacha Naspini ha dato al suo romanzo, intelligentemente prefazionato da Walter Serra, ci fa pensare, inevitabilmente, all’assenza di vita, alla durezza di cuore, alla pietra “messa sopra” un qualcosa di spiacevole, alle pietre che “ingoiamo” se siamo costretti a subire in silenzio una situazione, alle pietre della vendetta trovate nello stomaco della signora Longo e a quelle dei sacrifici e dei rancori de Il mangiatore di pietre (Marcos y Marcos, 2004) di Davide Longo, al lavoro da schiavi nelle cave di pietra, a “le pietre fangose di templi sepolti” in Ex Oblivione di Lovecraft, al tonfo di un sasso che cade nell’acqua del mare, di un lago o di uno stagno…Leggendo il romanzo ci troviamo ben presto in una griglia sorprendente di motivazioni psicologiche, di sensazioni, sensi e significati, di emozioni, di suspense. “L’uomo” è il primo a destare la nostra curiositas (forse perché non ha un nome proprio?), poi, in un gradevole crescendo, Corrado Ascanio, il francese, Tredici (baciato dalla (s)fortuna?), l’arte dei falsari, il gioco a carte nere e a carte rosse, il Greco e il capovolgimento inaspettato, ad effetto, nella realizzazione del personaggio… Riusciamo a cogliere a pieno l’essenza di ogni momento narrativo e degli stati d’animo dei personaggi: la differenza di due realtà familiari complicate, che lo scrittore approfondisce puntando sull’analisi psicologica del sempre difficile rapporto tra genitore e figlio e del comportamento dei singoli personaggi, per es. di Corrado Ascanio, preda del suo rammarico per la permissività paterna e della preoccupazione dopo il furto e la fuga del figlio Marco, poco incline alla riflessione; ancor di più di Eva e del suo stato d’animo conseguente alla scoperta di essere stata adottata, <<…chiamare “mamma” tua madre, sapendo che non è lei, crea una confusione tremenda nella testa di un bambino>>, della sua rievocazione dell’infanzia tormentata soprattutto dal bisogno di appartenenza e dell’adolescenza vissuta senza moralità, “costrizione dello spirito”.Il romanzo insiste sul tema dell’amore, visto da diverse angolature, e della vendetta, in particolar modo nell’ultima parte, in cui, dopo una lunga calma apparente, s’intensifica l’action. Una partita, di drammatica tensione, coinvolgente, a ping-pong tra Corrado Ascanio e il Greco, con Eva che fa da pallina. Dalla fine della prima parte del romanzo e per tutta la seconda parte, il gioco a carte, metafora della vita, regge in modo originale la struttura narrativa. I protagonisti raccontano la loro vita con nostalgia, “Dovevo solo rompere il muro della prima nostalgia, della paura. E gli eventi già si predisponevano…”. e consapevolezza che niente può ripetersi. La narrazione dà al lettore tempo e spazio per comprendere e assimilare la trama movimentata e ben articolata, man mano sempre più intrigante.Ogni vita è una storia, una pietra preziosa, posseduta o desiderata, una leggera pietra pomice in balia delle onde, degli eventi, un sasso levigato dal mare, da forze smisuratamente grandi, un macigno, pesante come una pena da scontare in eterno:”Qui vidi gente più che altrove troppa. E d’una parte e d’altra, con grandi urli, voltando pesi per forza di poppa” (Canto VII dell’Inferno dantesco).Ci sono vite che trascorrono silenziose, alimentate da un desiderio da realizzare in un futuro che appare sempre più incerto e lontano, altre di breve durata, “stelle cadenti”, vite predestinate alla sofferenza, allo sfruttamento, alla schiavitù, il cui tempo trascorre lentamente e su cui si stratificherà in breve il magma dell’oblio. Eva, da bambina, sognava di visitare il mondo e di farlo suo raccogliendo, in ogni dove, una pietra (una storia, un ricordo) e portandola sempre con sé in una borsa.Vite e storie s’incontrano e si scontrano dando origine ad altre vite, ad altre storie. Alcune, però, viaggiano parallelamente, all’infinito, senza mai incontrarsi. Altre s’incrociano, ecc. “Ci sono storie che vincono su altre… Ma vincono davvero?” e se “La derivazione è sempre la stessa: il mistero”, non è forse identica l’ultima meta.
Simonetta De Bartolo per http://www.patriziopacioni.it/

Nessun commento:

Posta un commento