lunedì 6 aprile 2009

I SASSI - Recensione


::28.12.2007 - FONTE - a cura di Gianfranco Franchi

È un romanzo a incastro, giocato amalgamando tre storie, per alternanza di flashback e flashforward: la prima è quella di una giovane coppia clandestina, che viveva il sogno d’un amore impossibile viaggiando per l’Europa, lei incinta del marito violento e crudele, lui figlio d’un mercante d’arte, destinato a scontare, come in una tragedia greca, le colpe del padre; la seconda è quella di una prostituta di Praga che voleva raccogliere sassi in giro per il mondo: e dei suoi bruciati talenti musicali e matematici, e della sua vita segnata da un irrealizzabile desiderio d’appartenenza; la terza è quella di spettri in vita, morti non morti che tornano per regolare conti. Al principio della storia, uno di questi spettri senza nome, vivo d’una vita cambiata per sempre trent’anni prima, sta dialogando con la giovane prostituta; si rivelano raccontandosi la loro storia, il device è un mazzo di carte. E a questo punto devo essere necessariamente ellittico ed evasivo per non rivelare niente di fondamentale al lettore; “I sassi” è un’opera fondata su una trama rompicapo – appare una scatola misteriosa che sembra reminiscenza lynchiana, allegoria della decadenza e della rovina: dell’epifania della morte – e raccontarla significa annientare il piacere della lettura. Scriverò piuttosto che nei momenti migliori della narrazione Sacha Naspini sembra giocare con il lato oscuro delle storie dei suoi personaggi, col loro passato d’amore e d’ombra, con la tragedia dell’agnizione della verità famigliare, come uno dei migliori narratori degli anni Novanta, Paolo Maurensig; non è solo l’ambientazione (provvisoria) praghese a suggerire l’interiorizzazione della lezione di degenerazione identitaria e famigliare dello scrittore di Gorizia, ma l’espediente del disvelamento progressivo dell’indicibile, un indicibile che coincide con un orrore domestico, imprevedibile perché localizzato in contesti apparentemente sicuri e salvifici, a convincermi della similarità. Non mancano omicidi e violenze, con crescendo dal retrogusto thriller yankee; eppure non riesco a scrivere che la narrazione rientri a pieno titolo in un genere e uno soltanto. Il romanzo è un interessante punto d’incontro tra il noir e l’indagine sulla natura dei sentimenti, sull’identità, sui legami di sangue. La congettura d’una futura produzione narrativa incentrata sull’analisi dei legami, sul dolore e sullo stupore dell’innocenza, e sul chiaroscuro dell’esperienza, spinge ad avere fiducia in Naspini; la capacità di tratteggiare umanità prigioniera di desideri e sentimenti, quando nell’avidità, quando nell’appartenenza, quando nella violenza, originerà storie mai estranee a intelligenti simbolismi. Dosando con equilibrio escamotage e artifici come i colpi di scena, gli scambi e i deus ex machina, tappa successiva a questa letteratura sarà l’adattamento teatrale. Siamo dalle parti di quegli autori che amano smascherare la menzogna: in altre parole, siamo tra i cantori del lato oscuro dell’umanità. Promettente, molto.

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