Tre settimane fa ho incontrato Sacha Naspini alla presentazione del suo ultimo romanzo “Never Alone”, edito per la Voras Edizioni. Giubbotto di pelle nera, tranquillità espressiva, parlata da toscanaccio. Ho ascoltato l’intervista, le sue risposte e gli elogi che gli altri scrittori presenti in sala hanno fatto su questo suo ultimo lavoro. La curiosità cresceva in me. Volevo leggerlo. Mi sono alzato e diretto al banco dove vendevano le copie del romanzo per comprarne una. Me la sono messa sottobraccio e sono andato al bar a bermi due americani. Ieri sera ho terminato di leggere quel libro che se n’era stato buono sottobraccio mentre mi sbronzavo di bitter Campari, Vermouth rosso e selz, mescolati in parti uguali e ora non posso far altro che unirmi al coro unanime di commenti positivi che accompagnano quest’opera. Never Alone lo si legge tutto d’un fiato, pagina dopo pagina lo si scopre in tutta la sua potenza narrativa e fragilità dei personaggi. Due ragazzi, Art e Ruben, che vivono in chiave differente l’amicizia, tuttavia avvertendola come una presenza viscerale della loro vita. L’uno e l’altro si completano. Un affetto combattuto cui non possono fare a meno. Come non possono più fare a meno della pistola che diventa loro compagna sin dall’inizio del libro. Presenza ingombrante che muta il loro interagire col mondo e di conseguenza anche il loro rapporto. Incalzante e veloce Never Alone ci porta dritto dentro l’anima dei suoi protagonisti, nel mondo duro degli adolescenti. Scritto sviluppando entrambi i punti di vista dei personaggi, il libro mostra i pensieri dell’uno e dell’altro ragazzo, presentando così un quadro completo dell’insieme. Rivelando come il mondo possa apparire differente sulla base di chi lo osserva, come a volte le nostre azioni siano interpretate diversamente da chi ci sta accanto. Sottolineando inoltre come ci si possa sentire protetti con un amico vicino su cui contare, oppure potenti con una pistola-compagna nascosta sotto la giacca, in ogni caso disorientati e impreparati per quel che potrebbe succedere all’improvviso, come perdere il controllo della situazione e ritrovarsi davanti ad eventi imprevisti, non calcolati e sorprendersi impauriti, incoscienti e coraggiosi al tempo stesso.
mercoledì 22 aprile 2009
NEVER ALONE - Recensione
a cura di http://loudychronicles.blogspot.com/2009/04/tre-settimane-fa-ho-incontrato-sacha.html
martedì 21 aprile 2009
I SASSI - Recensione
Sacha Naspini, rispetto ad altri autori della sua età che pubblicano per piccole o medie case editrici, ha una marcia in più. E non solo rispetto a loro. Questo noir svela i suoi motivi pian piano, con uno stile secco ma profondo, pieno di sottintesi, di frasi allusive, di parole non dette. Il mistero striscia sotto il testo come un serpente sotto il fogliame di un bosco. Ci troviamo di fronte a uno di quei rari testi dotati di "doppio fondo"; si legge e s'intuisce qualcosa, non detto dalle parole ma comunque evocato, qualcosa che sta dietro, sta in profondità, un po' come il lieve incresparsi delle placide acque di un lago che rivelano il passaggio di un mostro in profondità (vecchia similitudine sempre efficace). Questo si rispecchia, nel lettore, in un sommovimento nell'inconscio durante la lettura, il famoso "formicolio dietro lo sterno". La trama è ben dipanata, e contiene molti elementi "simbolici" (penso ad esempio al gioco di carte tra i due protagonisti, e al misterioso ciondolo attorno a cui ruota tutta la vicenda), che aiutano a imprimere nella testa tutta l'opera. I personaggi sono ben delineati, le scene di sesso sono non banali, precise e realistiche. Il romanzo si legge d'un fiato, lascia il segno sia durante che dopo la lettura, e non mostra mai segni di cedimento. Una bella conferma, un autore sicuramente da tenere d'occhio.
Maurizio Cometto
DIARIO DI UN SERIAL KILLER - Segnalazione
DIARIO DI UN SERIAL KILLER di Sacha Naspini
Un thriller raffinato in cui si analizza con il rigore di una ricerca scientifica l'impulso a uccidere. Mai un serial killer è stato più affascinante e ricco di umanità del protagonista di questo diario dell'orrore. Non è solo un romanzo d'evasione, è un trattato su un fenomeno che ci riguarda tutti: c'è qualcuno che ci vuole morti, ed è il più insospettabile tra quelli che abbiamo vicino. E' l'esordio clamoroso di un autore dall'inventiva strepitosa e dallo stile straordinariamente incisivo. Una storia che fa riflettere: dopo averla letta, l'omicidio appare sotto una luce del tutto nuova. E ancora più terrificante.
IL RISULTATO
IL RISULTATO - SACHA NASPINI - Magnetica Edizioni
Mi dissi che una città ti può ingoiare: avevo sempre pensato a quel locale, ma non ci ero più tornato. Più facilmente ero stato altrove, nel mondo, se ricordavo di quel posto lo sentivo come la vita di qualcuno che racconta un diario perso nei secoli. Ora stavo con un gomito al banco, la vertigine della congiunzione, una figlia.
Sacha Naspini è un autore dotato di una scrittura fresca, rapida e senza fronzoli, utilizza periodi brevi e spezzati che danno ritmo alla narrazione e padroneggia a dovere il dialogo che scandisce l’incedere del racconto. Naspini riesce a caratterizzare i personaggi in modo articolato e fa scaturire la loro personalità dalle cose che dicono e dai ricordi. Il risultato descrive l'incontro tra due vecchi compagni di scuola che decidono di vedere insieme un’importante partita di calcio. Ma l’avvenimento sportivo passa in secondo piano e di fronte alla vecchia complicità che riaffiora sono i ricordi a prendere il sopravvento. Il risultato è un racconto sul tempo che passa e le persone che cambiano ed è emblematica la frase pronunciata da uno dei protagonisti: “Comincia con i calciatori. Non te ne accorgi neanche. Un giorno ti accorgi che il nuovo centravanti della tua squadra ha l’età che potrebbe essere tuo figlio”. L’incontro tra i due amici di un tempo riapre vecchie ferite e scava in un passato che ha fatto vivere troppi fallimenti. Naspini è bravo a non dare giudizi, ma si limita a costruire un clima realisticamente malinconico, un suggestivo scenario dove fa muovere i suoi personaggi come perfetti ingranaggi della storia. Il risultato è un racconto minimalista che è uno spaccato credibile di vita quotidiana nel quale il lettore si immedesima con piacere e a tratti ritrova parte della sua vita. Il finale è permeato di un’atmosfera agrodolce con i due amici che lasciano perdere la partita e finiscono in un locale, come ai bei tempi dell’università. Purtroppo niente è come prima, persino la bella cameriera è ingrassata e il suo fisco non fa più sognare, così come i due amici non sono più gli studenti sempre a caccia di avventure. Alla fine uno dei due si ritrova ubriaco per mano a una ventenne e l’altro esce con la cameriera, sogno erotico del passato. La loro vita è cambiata, come cambia la vita di tutti, tra divorzi, figli perduti e un lavoro che distrugge le illusioni. I due vecchi amici si salutano e l’autore lascia intendere che forse non si vedranno mai più, perché non c'è più niente a tenerli unti. Il risultato è un racconto che si legge con rapidità e che è permeato di buona tensione narrativa. Al tempo stesso è un racconto che scava nella psicologia dei personaggi che costruisce come due prototipi di sconfitti, due giovani insoddisfatti prodotti dalla società contemporanea. Bene ha fatto il giovane editore Magnetica a metterlo nel suo interessante catalogo. Naspini è un giovane scrittore che merita attenzione.
Sacha Naspini è un autore dotato di una scrittura fresca, rapida e senza fronzoli, utilizza periodi brevi e spezzati che danno ritmo alla narrazione e padroneggia a dovere il dialogo che scandisce l’incedere del racconto. Naspini riesce a caratterizzare i personaggi in modo articolato e fa scaturire la loro personalità dalle cose che dicono e dai ricordi. Il risultato descrive l'incontro tra due vecchi compagni di scuola che decidono di vedere insieme un’importante partita di calcio. Ma l’avvenimento sportivo passa in secondo piano e di fronte alla vecchia complicità che riaffiora sono i ricordi a prendere il sopravvento. Il risultato è un racconto sul tempo che passa e le persone che cambiano ed è emblematica la frase pronunciata da uno dei protagonisti: “Comincia con i calciatori. Non te ne accorgi neanche. Un giorno ti accorgi che il nuovo centravanti della tua squadra ha l’età che potrebbe essere tuo figlio”. L’incontro tra i due amici di un tempo riapre vecchie ferite e scava in un passato che ha fatto vivere troppi fallimenti. Naspini è bravo a non dare giudizi, ma si limita a costruire un clima realisticamente malinconico, un suggestivo scenario dove fa muovere i suoi personaggi come perfetti ingranaggi della storia. Il risultato è un racconto minimalista che è uno spaccato credibile di vita quotidiana nel quale il lettore si immedesima con piacere e a tratti ritrova parte della sua vita. Il finale è permeato di un’atmosfera agrodolce con i due amici che lasciano perdere la partita e finiscono in un locale, come ai bei tempi dell’università. Purtroppo niente è come prima, persino la bella cameriera è ingrassata e il suo fisco non fa più sognare, così come i due amici non sono più gli studenti sempre a caccia di avventure. Alla fine uno dei due si ritrova ubriaco per mano a una ventenne e l’altro esce con la cameriera, sogno erotico del passato. La loro vita è cambiata, come cambia la vita di tutti, tra divorzi, figli perduti e un lavoro che distrugge le illusioni. I due vecchi amici si salutano e l’autore lascia intendere che forse non si vedranno mai più, perché non c'è più niente a tenerli unti. Il risultato è un racconto che si legge con rapidità e che è permeato di buona tensione narrativa. Al tempo stesso è un racconto che scava nella psicologia dei personaggi che costruisce come due prototipi di sconfitti, due giovani insoddisfatti prodotti dalla società contemporanea. Bene ha fatto il giovane editore Magnetica a metterlo nel suo interessante catalogo. Naspini è un giovane scrittore che merita attenzione.
Gordiano Lupi
L'INGRATO - Segnalazione
Il primo romanzo di uno scrittore di cui sentiremo ancora parlare. Uno che sa cosa raccontare e come si fa a scrivere. La sua prosa, almeno in questo suo lavoro, è caratterizzata da uno stile che si ritrova nelle opere del primo Novecento. Detto così, potrebbe sembrare un linguaggio po' datato, ma vi garantisco che non è per niente ampolloso e che la lettura coinvolge fino alla fine.
[Massimo Padua]
L'INGRATO - Segnalazione
L'INGRATO - Segnalazione
E' la storia del maestro elementare Luigino Sarcoli Calamaio, che si diletta di pittura, infamato dai pettegolezzi dei cittadini del paesino in cui è andato a insegnare, sulla sua presunta pedofilia... Una storia forte e delicata, tenera e bruciante, scritta da una giovane penna che ha già ricevuto numerosi riconoscimenti letterari. Questo è il suo primo romanzo.
[Fernando Quatraro]
I SASSI - Segnalazione
Questo romanzo è una piacevole sorpresa, perchè è un'opera scritta da un giovane, ma che presenta caratteristiche di maturità. Al di là della trama, intrigante e complessa, che lo fa rientrare nel genere noir, c'è un'analisi dei personaggi notevolmente approfondita e anche un messaggio di rilevante portata. Scritto assai bene, si legge tutto d'un fiato e alla fine offre spunti di riflessione sul senso della vita. Sicuramente consigliabile.
[Renzo Montagnoli]
I SASSI - Segnalazione
Una storia fatta di inganni, di amore e vendetta. Che abbia un debole per questo scrittore mi sembra già evidente. Ma provate a leggere le sue storie e sono sicuro che ne rimarrete stregati anche voi. Questo "I sassi" è molto diverso dal suo esordio (il validissimo "L'ingrato") sia per cifra stilistica che per contenuti e trama, e tuttavia si percepisce la stessa mano, la stessa anima. Questo, a mio parere, è una delle peculiarità del vero scrittore, quello che ha padronanza del proprio "mestiere". "I sassi" è un libro che ti avvinghia, quasi ti stritola fino ad un epilogo per niente scontato e, seppur realistico, ricco di colpi di scena. Il lettore ne esce frastornato, ma consapevole di avere compiuto un viaggio che spera di ripetere col prossimo romanzo. Bravo!
[Massimo Padua]
I SASSI - Segnalazione
I SASSI - Recensione
a cura di Gordiano Lupi
Abbiamo già pubblicato due lunghi racconti di Sacha Naspini in Cattive storie di provincia e nell’Antologia del Fantastico Underground, subito dopo ci siamo fatti scappare un grande romanzo maremmano come L’ingrato, ma non abbiamo avuto dubbi di fronte a un romanzo di ampio respiro come I sassi. Naspini è dotato di una grande facilità di scrittura che gli consente di passare da una narrazione intimista e introspettiva a una storia cruda e noir, cura a fondo la psicologia dei personaggi e fa attenzione a rendere realistica l’ambientazione. Un narratore deve raccontare storie e trasmettere emozioni. Sacha Naspini fa il suo dovere fino in fondo e dimostra di aver appreso la lezione di Luciano Bianciardi, punto di riferimento di tutti gli autori toscani. A noi resta l’orgoglio di aver scoperto un narratore di razza in questa arida terra di Maremma. [Gordiano Lupi]
Sacha Naspini - a cura di Gordiano Lupi - agosto 2008
Sacha Naspini è piombinese come me ed è un grande scrittore. Non è un’affermazione buttata là per sciovinismo campanilistico. No davvero. È la verità. Sono contento che lo sia perché - come direbbe Pippo Baudo - l’ho scoperto io. Ho conosciuto Sacha Naspini quando ero in giuria al Premio “Licurgo Cappelletti” che organizzavamo con Il Foglio Letterario un po’ di anni fa. Presentò un racconto horror sconcertante come I Ragni che mi prese parecchio ed ebbe pure fortuna, ché i racconti horror in Italia non piacciono a nessuno, ma capitò nelle mani di uno cresciuto a colpi di Lovecraft, Poe, Le Fanu, uno che per passare il tempo da ragazzino leggeva il Corriere della Paura, i KKK e i Racconti di Dracula. Bei tempi. Belle riviste da edicola che non ci sono più e se ne sente la mancanza. Ho incontrato di nuovo Sacha Naspini al Premio “Boccardi”, aveva cambiato genere, presentò una storia di vita quotidiana, una novella d’altri tempi, ma scritta sempre bene, questo era l’importante.
Ho pubblicato Naspini in Cattive storie di provincia con un horror d’atmosfera niente male e in Antologia del Fantastico Underground (li trovate ancora su www.ilfoglioletterario.it). Mi sono lasciato sfuggire L’ingrato, bella novella maremmana sulla pedofilia edita da Effequ, adesso libera da diritti, non so nemmeno perché, motivi di opportunità commerciale, credo. Naspini è scrittore completo, spazia dalla narrativa di genere ai racconti di viaggio, sperimenta il romanzo di formazione e la novella classica che ricorda Cassola, Chiara, Soldati e persino Aldo Zelli, che forse non conoscete (ed è un male!), ma era un grande scrittore piombinese di racconti maremmani e di storie per ragazzi. Naspini ha pubblicato con Il Foglio Letterario un bel noir come I Sassi che racconta il rapporto padre - figlio e descrive una città magica come Praga. Naspini partecipa anche al collettivo UBV (Underground Book Village) e ha partecipato all’opera collettiva Le sette vite di Dalila e Achille, nella quale sette giovani autori provano a smuovere le stagnanti acque della narrativa italiana contemporanea. Per sapere tutto di questo interessante progetto rimando qui. Provate a leggerlo. Non ve ne pentirete. E intanto godetevi questo estratto da un nuovo romanzo…
Gordiano Lupi
Ho pubblicato Naspini in Cattive storie di provincia con un horror d’atmosfera niente male e in Antologia del Fantastico Underground (li trovate ancora su www.ilfoglioletterario.it). Mi sono lasciato sfuggire L’ingrato, bella novella maremmana sulla pedofilia edita da Effequ, adesso libera da diritti, non so nemmeno perché, motivi di opportunità commerciale, credo. Naspini è scrittore completo, spazia dalla narrativa di genere ai racconti di viaggio, sperimenta il romanzo di formazione e la novella classica che ricorda Cassola, Chiara, Soldati e persino Aldo Zelli, che forse non conoscete (ed è un male!), ma era un grande scrittore piombinese di racconti maremmani e di storie per ragazzi. Naspini ha pubblicato con Il Foglio Letterario un bel noir come I Sassi che racconta il rapporto padre - figlio e descrive una città magica come Praga. Naspini partecipa anche al collettivo UBV (Underground Book Village) e ha partecipato all’opera collettiva Le sette vite di Dalila e Achille, nella quale sette giovani autori provano a smuovere le stagnanti acque della narrativa italiana contemporanea. Per sapere tutto di questo interessante progetto rimando qui. Provate a leggerlo. Non ve ne pentirete. E intanto godetevi questo estratto da un nuovo romanzo…
Gordiano Lupi
L'INGRATO - Recensione
Primo romanzo di Sacha Naspini, L'ingrato già rivela le indubbie qualità di questo giovane autore e che potrei sintetizzare in una scrittura matura, ma mai greve. In effetti in questo libro si avvertono alcune linee base che poi si ritrovano, perfezionate e in piena sinergia, ne I sassi. L'analisi psicologica approfondita, l'ambientazione definita nei suoi aspetti essenziali, quasi delle indicazioni, e una trama senza intoppi sono caratteristiche che appaiono proprie di Naspini e quindi non dovute al caso, delle vere e proprie fondamenta su cui contare per dare vita a nuove situazioni, a vicende che non sono mai ripetitive. I pregi e i difetti della provincia (nel caso specifico un paesino toscano) sono il pretesto per una spietata denuncia della maldicenza, di questo vizio sottile, latente anche in persone insospettabili e che appare come una valvola di sfogo per frustrazioni sempre presenti. Certo il maestro Calamaio, il personaggio principale, ha anche le sue stranezze, come quella di spiare le bambine quando vanno in bagno, ma quest'anomalia, che si limita a una semplice osservazione, appare quasi insignificante rispetto all'acredine, alla storia del tutto inventata che sorge in questo paesino e che attecchisce in modo estremamente rapido. E non è che la vox populi lo condanni per questo spirito guardone, ma per qualche cosa di immorale che gli stessi creatori ignorano e che nasce come frutto di fantasticherie che si dilatano di bocca in bocca, come a dire che uno starnuto nel giro di tre vie diventa un boato. No, a Calamaio gli si rinfaccia l'ingratitudine, non gli si perdona che lui, accolto in paese proveniente dalla città, non abbia accettato le regole ferree che regnano sovrane nel tempo e che rendono una comunità al tempo stesso carnefice e vittima di se stessa. Per dirla più chiaramente, Calamaio ha violato i confini sacri non tanto dell'etico, ma del conformismo, delitto senza possibilità di appello in una società chiusa che può solo accettare o respingere. Fatto il primo passo, la maldicenza si amplifica, trae forza dalla sua stessa debolezza di iniziare da una bolla di sapone, perché è evidente che si viene a creare un inconscio legame fra chi per primo ha cominciato e l'ultimo che chiude e riapre il cerchio, in una sorta di girotondo senza fine. L'individuo preso di mira non ha più cittadinanza e vive un'emarginazione che è fatta di forzata solitudine e di dispetti ricorrenti, quasi fosse considerato un corpo estraneo da cui liberarsi. Il pregio dell'opera sta proprio nella capacità che ha avuto Sacha Naspini di rappresentare questa realtà, che non è un caso limite, ma che invero è frequente, con quella distorta volontà di trovare a tutti i costi un capro espiatorio su cui sfogare le proprie pulsioni represse.
L'INGRATO - Recensione
a cura di Luca Di Gianleonardo -Operanarrativa.com
Capita che un giorno insieme a un amico apri un sito internet dove puoi parlare di una delle passioni che ti riempiono il tempo libero: la lettura.Capita che decidi di dedicare il sito non solo ai soliti best-seller, ma anche a quegli scrittori che, seppur validi quanto (se non di più) gli autori che affollano le librerie, non riescono a emergere a causa del loro nome ancora poco noto. Chiedi a questi autori di inviarti una copia del loro libro, non perché vuoi guadagnarci, ma perché ti piace avere una libreria sempre più piena e sempre più varia.E capita che sempre più autori, più di quanti ci si sarebbe aspettati, hanno fiducia in te e spediscono la propria opera. E capita che i libri arrivano e tra questi e quelli che “incoscientemente” continui a comprare, la lista di lettura si riempie sempre di più, mentre il tempo si contrae.E quindi che gli autori devono attendere un po’ prima di vedere una nostra recensione alla loro opera sul nostro sito.Però capita che quando scarti un pacco, ti trovi tra le mani un libro che ha da subito qualcosa di particolare, qualcosa che stimola la curiosità, ben prima di leggere il risvolto di copertina.E così lo apri, inizi a leggere le prime pagine, giusto per zittire la curiosità, con l’intenzione di rimetterlo al suo posto nella lista e a finire prima quel volume che hai già iniziato. Ma capita che lo stile è intrigante, il protagonista un tipo strano che si mostra interessante ogni pagina che passa, che anche i personaggi di contorno, con le loro chiacchiere, ti spingono a restare.E capita che arrivi alla fine del libro che nemmeno te ne accorgi.Non mi dilungo oltre sulla trama de L’ingrato, Gordiano Lupi lo fa meglio di quanto potrei farlo io nella sua recensione a questo libro, che segue.Ma Naspini ha fatto un ottimo lavoro. Il Maetro Calamaio è un tipo strano, con tendenze che rasentano le pedofilia, un amore esagerato per le opere di Lautrec e un’attrazione fuori dai canoni per una sua ex alunna che prima getta in un baratro, ma a cui tende una mano per risalire. Un uomo che non viene capito dai quoi compaesani, e per questo additato come quello che disegna bordelli.Un gran personaggio.L’ingrato dimostra che i buoni libri non hanno solo firme famose.A volte capita che le belle letture si facciano trovare nella tua casella di posta.E ti facciano essere felice di aver aperto questo sito internet.
L'INGRATO - Recensione
a cura di Girorgio Sannino
Non so che dire. Ho letto L'ingrato tutto d'un fiato. O meglio in due fiati, un pomeriggio e la mattina dopo. Sapevo che il libro mi avrebbe parlato d'anima, perché ho avuto modo di intuire il genere di scrittura cui stavo per accingermi. Ma che questo piccolo libro potesse superare le mie aspettative fino a questo punto, proprio... Ci sono immagini talmente vivide da chiedere di essere masticate e rimasticate più volte, come succede di rado. "Sulla tela del Calamaio era comparsa una Chiaretta di pochi anni. La stessa dei tempi della scuola. Nuda. Seduta nella nicchia dei vicoli, però, in quella penombra. Si abbracciava le ginocchia, da in mezzo alle caviglie mostrava le giovani nudità a fatica schiuse in un sorriso verticale, dal quale versavano stille giallastre d'urina sulla neve". Voglio dire: non è letteratura, non solo, questo libro potrebbe essere un dipinto. Questo Naspini dipinge con le parole: "Una strisciolina di sangue si era rappresa all'angolo della bocca. Nel piangere aveva perso il trucco per la faccia, per via di quel suo modo di tirarsi i capelli indietro se lo era sparso dappertutto con le mani. E piangeva. Tossiva. Piangeva...". Posso sbagliarmi, ma trovo che quella di Naspini sia una scrittura splendida. E rara. Leggendo L'ingrato mi sono venuti in mente altri due romanzi esordienti a mio parere ugualmente meritevoli e che insieme a L'ingrato consiglierei a chiunque. Il primo è "Lo stato delle anime" di Giorgio Todde, Il Maestrale. Il secondo "Il quaderno delle voci rubate" di Remo Bassini, La Sesia. Tutti e tre i romanzi si snodano all'interno di un piccolo paesino di provincia. Attorno a pochi personaggi chiave caratterizzati con assoluta maestria. E padronanza. Esperienze immense quelle di scoprire opere prime come queste. Di cui sarò sempre grato agli autori, pur non conoscendoli di persona, ma chissà... Inutile dire che dopo "L'ingrato" mi è venuta una gran voglia di approfondire la conoscenza di Lautrec. E che il romanzo ha trovato senza indugio posto nel mio scaffale dedicato ai "preferiti".
L'INGRATO - Segnalazione
Dal CORRIERE DI MAREMMA del 04.04.2006 LE RIFLESSIONI DELL'ASSESSORE PRUNETI SU UN ROMANZO DEDICATO A MARIO PEPE
"QUEL LIBRO IN RICORDO DI MARIO" Mi è capitato di leggere “L'ingrato”, romanzo di un giovane scrittore della nostra terra: Sacha Naspini. Questo romanzo, scritto in “maremmano”, è a mio parere bello e scorrevole, e mi ha colpito già iniziando dalla dedica. Questo lavoro è infatti dedicato ad una persona che gran parte di noi follonichesi conosceva: Mario Pepe. Credo che ogni volta che pensiamo a Mario e alla sua tragica storia, un magone ci sale in gola e non possiamo che sentirci in colpa per quello che gli è accaduto. Ci sentiamo in colpa perché ognuno di noi, in quei tragici giorni, si è avventurato in giudizi frettolosi e all'apparenza innocui, ma in realtà devastanti. È forse per questo motivo che un giovane scrittore ha sentito il bisogno di esorcizzare questa colpa scrivendo questo romanzo, creando un alter ego di Mario, ed è sicuramente per questo motivo che sento il bisogno di scrivere queste poche righe. Per chiedere perdono a Mario e a tutti quelli che come Mario vengono accusati senza possibilità di replica, che rimangono vittime di una meschinità che travestita da innocuità avviluppa la nostra società e crea danni irreparabili. Diventiamo troppo spesso giudici senza avere giudizio, cercando vittime da sacrificare sull'altare della noia facendo come dice Sacha: “…si sparla come se fosse respirare, e capita sempre che qualcuno ci rimette…” . Mio nonno diceva: “se pensi a far del male… pensaci due volte e non lo fare!”. Forse dobbiamo ricominciare a fermarci e pensare. Sicuramente dobbiamo smettere di giudicare sempre e comunque.
"QUEL LIBRO IN RICORDO DI MARIO" Mi è capitato di leggere “L'ingrato”, romanzo di un giovane scrittore della nostra terra: Sacha Naspini. Questo romanzo, scritto in “maremmano”, è a mio parere bello e scorrevole, e mi ha colpito già iniziando dalla dedica. Questo lavoro è infatti dedicato ad una persona che gran parte di noi follonichesi conosceva: Mario Pepe. Credo che ogni volta che pensiamo a Mario e alla sua tragica storia, un magone ci sale in gola e non possiamo che sentirci in colpa per quello che gli è accaduto. Ci sentiamo in colpa perché ognuno di noi, in quei tragici giorni, si è avventurato in giudizi frettolosi e all'apparenza innocui, ma in realtà devastanti. È forse per questo motivo che un giovane scrittore ha sentito il bisogno di esorcizzare questa colpa scrivendo questo romanzo, creando un alter ego di Mario, ed è sicuramente per questo motivo che sento il bisogno di scrivere queste poche righe. Per chiedere perdono a Mario e a tutti quelli che come Mario vengono accusati senza possibilità di replica, che rimangono vittime di una meschinità che travestita da innocuità avviluppa la nostra società e crea danni irreparabili. Diventiamo troppo spesso giudici senza avere giudizio, cercando vittime da sacrificare sull'altare della noia facendo come dice Sacha: “…si sparla come se fosse respirare, e capita sempre che qualcuno ci rimette…” . Mio nonno diceva: “se pensi a far del male… pensaci due volte e non lo fare!”. Forse dobbiamo ricominciare a fermarci e pensare. Sicuramente dobbiamo smettere di giudicare sempre e comunque.
L'INGRATO - Recensione
a cura di Gordiano Lupi
Questo libro poteva essere nel catalogo delle Edizioni Il Foglio, ma alla fine abbiamo scelto di pubblicare un altro romanzo di Sacha Naspini che dovrebbe vedere la luce nel 2007. La valutazione di non accettare L’ingrato esulava da motivi di merito: eravamo di fronte a due testi ottimi e abbiamo optato per quello che si avvicinava di più alla nostra linea editoriale. Le solite valutazioni di opportunità ci avevano convinto a pubblicare due racconti di Sacha nelle antologie del Foglio Letterario (Cattive storie di provincia e Antologia del Fantastico Underground), ma non questo romanzo. Ci eravamo detti che in un panorama letterario che consacra nell’olimpo narrativo gente come Aldo Nove, Paolo Nori e Tiziano Scarpa, un romanzo vero, di quelli che si scrivevano una volta, non poteva trovare spazio. Abbiamo sbagliato tutto e adesso che rileggo L’ingrato me ne rendo conto. Ha fatto bene Effequ a pubblicare Naspini, perchè bisogna avere il coraggio di dare in pasto al pubblico belle storie e non flussi di pensieri, ragionamenti di bambini scemi e poesie-racconto stile sesso e corpo. Sacha Naspini non poteva fare esordio letterario più convincente. L’ingrato è una novella ambientata in un paese immaginario della Maremma Toscana che racconta la vita del maestro elementare Luigi Calamaio e soprattutto racconta la difficoltà di vivere in provincia. Il personaggio principale è di quelli che restano impressi nella memoria, da quanto lo percepisci vivo e reale. Un maestro prossimo alla pensione, solo, senza una storia d’amore importante (alle sue spalle solo un paio di fallimenti), che si sente vivo dipingendo false tele di Lautrec. La scuola è la sua unica ragione di vita, anche se ha la strana abitudine di spiare le bambine nei bagni, ma non lo fa per motivi sessuali come credono i pettegoli di paese. Calamaio dipinge le nudità delle allieve nei quadri di Lautrec che copia e conserva nella tranquillità della sua casa di paese. Nella vita di questo maestro solitario irrompe Chiaretta Rambaldi, una bambina che lui ritrae spesso nelle sue opere. La storia del maestro si complica quando Chiara compie trent’anni e precipita con il suo compagno nel mondo della droga. Calamaio l’aiuta, la ospita in casa, si affeziona alla ragazza sempre di più, ma in modo molto casto, nonostante le voci di paese, e la perde proprio quando potrebbe innamorarsene. Naspini compone una sorta di remake (originale) della storia di Lolita ma la ambienta in provincia e la libera da ogni implicazione sessuale. Non svelo il finale ricco di colpi di scena per non rovinare la sorpresa. L’autore se la cava molto bene imbastendo una trama credibile che ruota attorno a due personaggi principali (Chiaretta e il maestro), “un ragazzo che beve caffé e dà le spalle” (bellissima la definizione del compagno drogato di Chiaretta) e la voce delle comari di paese (resa ottimamente con un efficace uso del corsivo). Il racconto scorre rapido sino alla fine e il lettore accorto sentirà - come in una bottiglia di buon vino d’annata - sentori di Cassola, Chiara e persino Soldati. Io che sono piombinese (come l’autore) ho sentito anche profumo di Aldo Zelli, che voi forse non conoscete, ma era un grande scrittore di racconti maremmani e di storie per ragazzi. Magari se vi resta tempo leggete anche Aldo Zelli (siamo nel decennale della scomparsa), invece di perdere tempo con lo scrittore provetto (e permalosetto) Baricco che reclama attenzione. Naspini è uno scrittore molto dotato e con questa novella maremmana dimostra una volta di più che la vera letteratura passa solo per storie ben raccontate.
Gordiano Lupi
L'INGRATO - Recensione
- FONTE
Sacha Naspini ha scritto un romanzo breve davvero piacevole, intenso e profondo. La storia è quella del maestro Calamaio, un uomo solo in un paese della maremma che lo considera, nonostante gli anni passati in quel luogo, ancora un corpo estraneo. Calamaio risponde a questa sua emarginazione fuggendo nella pittura, anche qui non in modo originale, ma con una quasi maniacale copiatura delle opere di Lautrec. Il protagonista è anche un uomo che si porta dentro la colpa di aver spiato una sua alunna mentre si trovava in bagno. Un comportamento che non è mai stato urlato nel paese, semmai sussurrato, ma che porta il protagonista a chiudersi di più in quel sottoscala nel quale la sua pittura gli consente di volare sulle miserie umane . Eppure un giorno quella bambina, ormai donna, riappare e inizia da qui un rapporto che porterà sconvolgimenti nella vita interiore del maestro e nel suo rapporto con la gente del paese. Così, proprio mentre da questo rapporto il maestro trae la forza per ritrovare se stesso, una svolta che trova la sua conferma nel cambiamento della sua pittura, il paese unanime lo condanna ad una emarginazione più dichiarata e dura. Il racconto della storia viene riportato con una tecnica narrativa efficace che alterna il racconto in terza persona della vita del protagonista con quello nel quale viene rappresentato ciò che pensa di lui la gente del paese. Ne esce fuori un ritmo pacato e gradevole che il lettore non può non apprezzare.
NEVER ALONE - Recensione
A cura di Gordiano Lupi
Voras merita tutta la nostra attenzione, anche perché ha debuttato sul mercato editoriale con un autore che conosciamo bene e che possiamo dire - se ce lo permette - di aver scoperto. Si tratta del piombinese Sacha Naspini, che dopo la stupenda novella di maremma L’ingrato e l’intenso noir internazionale I Sassi (Edizioni Il Foglio Letterario), ci sorprende affrontando il tema del doppio, della solitudine di due ragazzini, due volontà che cozzano tra di loro fino a un sorprendete finale. Never Alone (Mai Solo) sconvolge il lettore di Naspini, perché è un romanzo diverso dai precedenti, ma - come lui stesso mi ha confessato - è normale che uno scrittore sperimenti nuove strade e che ogni opera rappresenti un tassello di un lavoro più ampio. In questo senso Naspini sorprende un lettore come me, abituato a trovare certezze nel leggere quasi sempre lo stesso Cassola, Pavese, Moravia, Pasolini, ma anche Calvino, con poche variazioni sul tema. Naspini cambia tematica e stile romanzo dopo romanzo e tutto questo - pur se difficile da accettare - fa il grande scrittore, l’autore completo che può affrontare un plot da cronaca nera, una novella classica, lo script di una fiction e la sceneggiatura di un fumetto. Lo scrittore è un artigiano che deve saper maneggiare le armi delle parole, costruendo un’impalcatura di sogni. Naspini è ingordo di architetture narrative, non ama il genere stretto, ma preferisce contaminarlo di implicazioni letterarie. Never Alone indaga il tema della solitudine e tutte le conseguenze che può portare in una persona minata da una particolare devianza, in età giovanile. Il romanzo è ambientato a Brighton, ma lo scenario si nota poco, è ininfluente alla storia, i personaggi si muovono con le loro pulsioni interiori ed è importante il disagio che comunicano. Leggete Sacha Naspini e diffondete il marchio Voras. Sono con le idee chiare. Pure io faccio l’editore, ma tra appassionati di letteratura non esiste la parola concorrenza.
Gordiano Lupi
Gordiano Lupi
I SASSI - Recensione
a cura di Miriam Ravasio
Un enunciato matematico di Bourbaki afferma che l’aggiunta di un solo punto, rende compatto ogni spazio illimitato. La matematica di Dio, come traduce Piergiorgio Odifreddi ne’ Il vangelo secondo la scienza. “Dio è il punto all’infinito. Egli esprime l’universo, lo riduce a misura d’uomo, lo libera dalla sua illimitatezza, se ne fa carico e lo concentra interamente su di sé”. Rimuovendo quel punto, l’Universo ritrova il suo infinito muto, “un disegno sempre uguale a se stesso che si ripete in varie formule e risultati”. Miliardi di stelle, di sassi, di uomini.Sassi di Sacha Naspini è un libro di risposte a domande che nessuno ha posto, o si pone, tranne una:cos’è quel codice che esprime il corpo di un uomo, nel colore dei capelli, la forma delle mani, l’altezza?Ogni gratuita risposta è un colpo che ti arriva in faccia, quasi all’improvviso; perché il lettore ha pochi istanti di tempo per riconoscere la mano. Ricordi, pensieri, percezioni che come sassi “rotolano uno accanto all’altro, cozzano si rompono in frammenti e i frammenti si scontrano con altri frammenti.” Sassi, insomma, che per sfida e allegria si lanciano nel vuoto, che si raccolgono, si lasciano cadere a tonfo per ascoltare la profondità; sassi pesanti che i lupi cuciono nelle pance delle bambine.Con il Rosso e il Nero del gioco della notte, Stendhal attraversa l’intero racconto, uno specchio che riflette le qualità orfane dell’uomo, i buoni propositi della puttana, che pietra su pietra costruirà la sua casa, e quelli dell’arte: la “sindrome” , quel malessere che fa battere il cuore, sopravviverà alla Merda d’artista, sigillata da Piero Manzoni nella “scatoletta”?La lettura scorre, le intuizioni si fanno strada, il lettore va a passi veloci verso l’epilogo per controllare le soluzioni, verificare il risultato. Transeo lo cavalcone? Lo cavalcone non tiene , non ha retto i salti del monaco Zenone e il peso della fila longobarda; soli, senza tesoro e senza mappa, in fondo al mare, l’abate Faria, è chiuso nel suo sacco; non ci resta che Naspini e la sua ironia, la “rarità” necessaria: un uomo, una donna (con il suo sasso al collo) e una manciata di ghiaia.
I SASSI - Recensione
FONTE - a cura di Simonetta De Bartolo
I sassi, titolo che Sacha Naspini ha dato al suo romanzo, intelligentemente prefazionato da Walter Serra, ci fa pensare, inevitabilmente, all’assenza di vita, alla durezza di cuore, alla pietra “messa sopra” un qualcosa di spiacevole, alle pietre che “ingoiamo” se siamo costretti a subire in silenzio una situazione, alle pietre della vendetta trovate nello stomaco della signora Longo e a quelle dei sacrifici e dei rancori de Il mangiatore di pietre (Marcos y Marcos, 2004) di Davide Longo, al lavoro da schiavi nelle cave di pietra, a “le pietre fangose di templi sepolti” in Ex Oblivione di Lovecraft, al tonfo di un sasso che cade nell’acqua del mare, di un lago o di uno stagno…Leggendo il romanzo ci troviamo ben presto in una griglia sorprendente di motivazioni psicologiche, di sensazioni, sensi e significati, di emozioni, di suspense. “L’uomo” è il primo a destare la nostra curiositas (forse perché non ha un nome proprio?), poi, in un gradevole crescendo, Corrado Ascanio, il francese, Tredici (baciato dalla (s)fortuna?), l’arte dei falsari, il gioco a carte nere e a carte rosse, il Greco e il capovolgimento inaspettato, ad effetto, nella realizzazione del personaggio… Riusciamo a cogliere a pieno l’essenza di ogni momento narrativo e degli stati d’animo dei personaggi: la differenza di due realtà familiari complicate, che lo scrittore approfondisce puntando sull’analisi psicologica del sempre difficile rapporto tra genitore e figlio e del comportamento dei singoli personaggi, per es. di Corrado Ascanio, preda del suo rammarico per la permissività paterna e della preoccupazione dopo il furto e la fuga del figlio Marco, poco incline alla riflessione; ancor di più di Eva e del suo stato d’animo conseguente alla scoperta di essere stata adottata, <<…chiamare “mamma” tua madre, sapendo che non è lei, crea una confusione tremenda nella testa di un bambino>>, della sua rievocazione dell’infanzia tormentata soprattutto dal bisogno di appartenenza e dell’adolescenza vissuta senza moralità, “costrizione dello spirito”.Il romanzo insiste sul tema dell’amore, visto da diverse angolature, e della vendetta, in particolar modo nell’ultima parte, in cui, dopo una lunga calma apparente, s’intensifica l’action. Una partita, di drammatica tensione, coinvolgente, a ping-pong tra Corrado Ascanio e il Greco, con Eva che fa da pallina. Dalla fine della prima parte del romanzo e per tutta la seconda parte, il gioco a carte, metafora della vita, regge in modo originale la struttura narrativa. I protagonisti raccontano la loro vita con nostalgia, “Dovevo solo rompere il muro della prima nostalgia, della paura. E gli eventi già si predisponevano…”. e consapevolezza che niente può ripetersi. La narrazione dà al lettore tempo e spazio per comprendere e assimilare la trama movimentata e ben articolata, man mano sempre più intrigante.Ogni vita è una storia, una pietra preziosa, posseduta o desiderata, una leggera pietra pomice in balia delle onde, degli eventi, un sasso levigato dal mare, da forze smisuratamente grandi, un macigno, pesante come una pena da scontare in eterno:”Qui vidi gente più che altrove troppa. E d’una parte e d’altra, con grandi urli, voltando pesi per forza di poppa” (Canto VII dell’Inferno dantesco).Ci sono vite che trascorrono silenziose, alimentate da un desiderio da realizzare in un futuro che appare sempre più incerto e lontano, altre di breve durata, “stelle cadenti”, vite predestinate alla sofferenza, allo sfruttamento, alla schiavitù, il cui tempo trascorre lentamente e su cui si stratificherà in breve il magma dell’oblio. Eva, da bambina, sognava di visitare il mondo e di farlo suo raccogliendo, in ogni dove, una pietra (una storia, un ricordo) e portandola sempre con sé in una borsa.Vite e storie s’incontrano e si scontrano dando origine ad altre vite, ad altre storie. Alcune, però, viaggiano parallelamente, all’infinito, senza mai incontrarsi. Altre s’incrociano, ecc. “Ci sono storie che vincono su altre… Ma vincono davvero?” e se “La derivazione è sempre la stessa: il mistero”, non è forse identica l’ultima meta.
Simonetta De Bartolo per http://www.patriziopacioni.it/
I SASSI - Intervista
FONTE - a cura di Gianluca De Salve
INTERVISTA
Sacha Naspini, scrittore e musicista, è nato a Grosseto nel 1976. Il suo romanzo d’esordio è L’ingrato e sempre nello stesso anno, il 2006, esce il tascabile Il risultato. Suoi racconti appaiono in diverse antologie e ottiene vari riconoscimenti letterari. Lo abbiamo già trovato all’interno del Re-Censore con I sassi ed è proprio con alcune domande su questo romanzo che comincia l’intervista.Possiamo definirlo un noir «on the road»? Sì, anche. Ho costruito una storia che tocca alcuni luoghi a cui sono profondamente legato, Praga tra tutti. I sassi è un po’ il resoconto di alcuni viaggi che ho fatto, tra le cose più belle della scrittura per me c’è questo: vivere i luoghi che racconti. In tutti i miei scritti, ogni luogo è stato visto, vissuto, lo riporto per come mi si è piantato dentro. Le vicende che racconto ne I sassi, poi, rispecchiano un po’ il mio modo di essere, con cui lotto continuamente ma che alla fine non mi dispiace per niente: sempre in «fuga», ovunque, in attesa di un chissà quale colpo di scena finale… Come in una partita a carte? Ho trovato molto originale la tecnica con cui hai portato alla luce le vicende dei personaggi. Come ti è venuta l’idea? Avevo bisogno di un espediente narrativo che mi permettesse (anzi, permettesse al lettore) di far uscire le due storie, restando comunque agganciati all’«ora». Inoltre questa piccola trovata dava modo alle due vicende di mantenere un ritmo costante, un «andante ma non troppo», in preparazione della parte conclusiva. L’idea mi è venuta al volo, I sassi l’ho pensato e steso quasi di getto, in una decina di giorni o poco più. Perché scrivi? Non ne ho la più pallida idea. Mi è sempre «successo», sin da piccolo, se passano dei giorni senza che tocchi carta, mi manca. Raccontare delle storie. È il mestiere più vecchio del mondo, in fondo. Insieme all’altra cosa. Segui un percorso compositivo predefinito nell’elaborazione delle tue opere oppure sono in continuo divenire? Non sono un amante della «scrittura spontanea». Nel senso: quando leggo qualcosa che è stato scritto senza un piano di solito me ne accorgo; mi accorgo che chi scrive va un po’ alla cieca, per così dire, aspetta di farsi sorprendere anch’egli dall’evoluzione della storia. Non è ovviamente una cosa sempre «negativa», a volte escono libri che comunque «tengono la distanza», e poi si tratta solo di un’idea mia. A mio avviso una storia deve essere ben pianificata in precedenza, con tutte le licenze del caso, ovviamente, di cambiare direzione o stravolgere tutto in corso d’opera. Lasciare delle parti «sospese» mi piace, ed è lì che anch’io, nel mio piccolo, mi lascio sorprendere dall’avanzamento. Ma per quanto mi riguarda la trama (comprese le sottotrame) di base deve esserci. Il problema, spesso, se non si scrive seguendo un plot, è di arenarsi, magari alla centesima pagina, ed ecco che hai buttato via giorni di lavoro. Inoltre non amo molto la pagina che «tiene per sé», perché lo stile è agile per esempio, o diverte la gag del momento. L’obiettivo, credo, è quello di pensare una bella storia e scriverla, stando bene attenti alla vanità della scrittura, all’ostentazione del «io so scrivere e ora te lo faccio vedere», e lasciando il giusto al «non detto». Ribadisco che tutto questo è un’idea mia, che magari rivaluterò del tutto, anche domani. Ti sei dimostrato un autore molto versatile, la tua produzione letteraria spazia dai racconti ai romanzi, dalle fiabe al noir, lo consideri un percorso formativo oppure sei sempre alla ricerca di novità con cui confrontarti? Tendo a considerare ogni progetto «a sé stante», non credo che saprei scrivere due volte la stessa cosa. Un altro L’ingrato, per esempio. O un altro I sassi. Mi annoierei, e la scrittura ne risentirebbe. C’è di vero che principalmente devo avere ben chiaro cosa voglio scrivere. In questo periodo sto finendo un thriller per Sered Edizioni, per esempio, L’effetto Kirlian. A dicembre uscirò con un romanzo di narrativa pura per Il Foglio. A febbraio avrò l’onore di essere la prima uscita per Voras Edizioni, una nuova casa editrice molto promettente, con Never Alone. Inoltre sto preparando un romanzo breve che dà sul fantastico per la nuova collana Short-Cut, di Francesco Giubilei, Historica. Sono tutti libri diversi. Dal punto di vista del «genere», dell’impianto narrativo, lo stile. Eppure chi li ha letti afferma che «si sente la stessa mano»… È una cosa che mi intriga da morire. Qual è il racconto o romanzo che ti è costato più «fatica»? Quello a cui sei più legato? Fino ad oggi il più «faticoso» è L’effetto Kirlian, che ho citato sopra. Il direttore editoriale di Sered è persona superpreparata, scova ogni singolo cedimento del testo, e sono costretto a rimuovere parti, riscriverle, adattarle, in continuazione. È tutto un gioco di incastri (essendo un thriller), e incalzanti colpi di scena che sono costretto a dosare, per non correre il rischio di far «sbandare» il lettore. Attualmente sono alla terza stesura, spero la definitiva, o quasi, prima di entrare in «cucina editoriale». Il romanzo a cui sono più legato? Non saprei… Direi tutti, anche se continuo ad avere una personale predilezione per L’ingrato, e I sassi. Ovviamente parlo di quel che è stato pubblicato. Quali sono tra gli autori italiani o stranieri quelli che ti hanno particolarmente influenzato o colpito? Qui potrebbe partire una sfilza di nomi, da Calvino a Fante, da Palahniuk a Pavese passando per Bukowski, Cassola, Maurensig, Carver, Tuena, Pennac, Baricco, Queneau… Gli scrittori che amo di più sono comunque quelli che trasudano umanità, e ovviamente non mi riferisco all’accezione più «buona» del termine. Possiamo quindi dire che, oltre all’importanza di vivere i luoghi che si raccontano, è altrettanto importante viverne i personaggi? Per quanto mi riguarda assolutamente sì. Sono convinto che un buon narratore deve essere affetto da una bella dose di «mitomania» con cui fare i conti. Bisogna vedere, sentire quel che si scrive. Altrimenti è dura farlo vedere agli altri.Qualche altro consiglio per gli aspiranti scrittori? Beh, io mi reputo assolutamente tra questi. Se dovessi dare dei consigli, passerei quelli che ho avuto io, da persone preparate, attente, e più che professionali. Non li sto a ripetere qui, ma credo che tra le prime cose ci sia l’allenamento costante, lo scrivere e riscrivere, studiare, leggere i bei libri e buttare alla trentesima pagina quelli che ti «sporcano», senza esitazione.
INTERVISTA
Sacha Naspini, scrittore e musicista, è nato a Grosseto nel 1976. Il suo romanzo d’esordio è L’ingrato e sempre nello stesso anno, il 2006, esce il tascabile Il risultato. Suoi racconti appaiono in diverse antologie e ottiene vari riconoscimenti letterari. Lo abbiamo già trovato all’interno del Re-Censore con I sassi ed è proprio con alcune domande su questo romanzo che comincia l’intervista.Possiamo definirlo un noir «on the road»? Sì, anche. Ho costruito una storia che tocca alcuni luoghi a cui sono profondamente legato, Praga tra tutti. I sassi è un po’ il resoconto di alcuni viaggi che ho fatto, tra le cose più belle della scrittura per me c’è questo: vivere i luoghi che racconti. In tutti i miei scritti, ogni luogo è stato visto, vissuto, lo riporto per come mi si è piantato dentro. Le vicende che racconto ne I sassi, poi, rispecchiano un po’ il mio modo di essere, con cui lotto continuamente ma che alla fine non mi dispiace per niente: sempre in «fuga», ovunque, in attesa di un chissà quale colpo di scena finale… Come in una partita a carte? Ho trovato molto originale la tecnica con cui hai portato alla luce le vicende dei personaggi. Come ti è venuta l’idea? Avevo bisogno di un espediente narrativo che mi permettesse (anzi, permettesse al lettore) di far uscire le due storie, restando comunque agganciati all’«ora». Inoltre questa piccola trovata dava modo alle due vicende di mantenere un ritmo costante, un «andante ma non troppo», in preparazione della parte conclusiva. L’idea mi è venuta al volo, I sassi l’ho pensato e steso quasi di getto, in una decina di giorni o poco più. Perché scrivi? Non ne ho la più pallida idea. Mi è sempre «successo», sin da piccolo, se passano dei giorni senza che tocchi carta, mi manca. Raccontare delle storie. È il mestiere più vecchio del mondo, in fondo. Insieme all’altra cosa. Segui un percorso compositivo predefinito nell’elaborazione delle tue opere oppure sono in continuo divenire? Non sono un amante della «scrittura spontanea». Nel senso: quando leggo qualcosa che è stato scritto senza un piano di solito me ne accorgo; mi accorgo che chi scrive va un po’ alla cieca, per così dire, aspetta di farsi sorprendere anch’egli dall’evoluzione della storia. Non è ovviamente una cosa sempre «negativa», a volte escono libri che comunque «tengono la distanza», e poi si tratta solo di un’idea mia. A mio avviso una storia deve essere ben pianificata in precedenza, con tutte le licenze del caso, ovviamente, di cambiare direzione o stravolgere tutto in corso d’opera. Lasciare delle parti «sospese» mi piace, ed è lì che anch’io, nel mio piccolo, mi lascio sorprendere dall’avanzamento. Ma per quanto mi riguarda la trama (comprese le sottotrame) di base deve esserci. Il problema, spesso, se non si scrive seguendo un plot, è di arenarsi, magari alla centesima pagina, ed ecco che hai buttato via giorni di lavoro. Inoltre non amo molto la pagina che «tiene per sé», perché lo stile è agile per esempio, o diverte la gag del momento. L’obiettivo, credo, è quello di pensare una bella storia e scriverla, stando bene attenti alla vanità della scrittura, all’ostentazione del «io so scrivere e ora te lo faccio vedere», e lasciando il giusto al «non detto». Ribadisco che tutto questo è un’idea mia, che magari rivaluterò del tutto, anche domani. Ti sei dimostrato un autore molto versatile, la tua produzione letteraria spazia dai racconti ai romanzi, dalle fiabe al noir, lo consideri un percorso formativo oppure sei sempre alla ricerca di novità con cui confrontarti? Tendo a considerare ogni progetto «a sé stante», non credo che saprei scrivere due volte la stessa cosa. Un altro L’ingrato, per esempio. O un altro I sassi. Mi annoierei, e la scrittura ne risentirebbe. C’è di vero che principalmente devo avere ben chiaro cosa voglio scrivere. In questo periodo sto finendo un thriller per Sered Edizioni, per esempio, L’effetto Kirlian. A dicembre uscirò con un romanzo di narrativa pura per Il Foglio. A febbraio avrò l’onore di essere la prima uscita per Voras Edizioni, una nuova casa editrice molto promettente, con Never Alone. Inoltre sto preparando un romanzo breve che dà sul fantastico per la nuova collana Short-Cut, di Francesco Giubilei, Historica. Sono tutti libri diversi. Dal punto di vista del «genere», dell’impianto narrativo, lo stile. Eppure chi li ha letti afferma che «si sente la stessa mano»… È una cosa che mi intriga da morire. Qual è il racconto o romanzo che ti è costato più «fatica»? Quello a cui sei più legato? Fino ad oggi il più «faticoso» è L’effetto Kirlian, che ho citato sopra. Il direttore editoriale di Sered è persona superpreparata, scova ogni singolo cedimento del testo, e sono costretto a rimuovere parti, riscriverle, adattarle, in continuazione. È tutto un gioco di incastri (essendo un thriller), e incalzanti colpi di scena che sono costretto a dosare, per non correre il rischio di far «sbandare» il lettore. Attualmente sono alla terza stesura, spero la definitiva, o quasi, prima di entrare in «cucina editoriale». Il romanzo a cui sono più legato? Non saprei… Direi tutti, anche se continuo ad avere una personale predilezione per L’ingrato, e I sassi. Ovviamente parlo di quel che è stato pubblicato. Quali sono tra gli autori italiani o stranieri quelli che ti hanno particolarmente influenzato o colpito? Qui potrebbe partire una sfilza di nomi, da Calvino a Fante, da Palahniuk a Pavese passando per Bukowski, Cassola, Maurensig, Carver, Tuena, Pennac, Baricco, Queneau… Gli scrittori che amo di più sono comunque quelli che trasudano umanità, e ovviamente non mi riferisco all’accezione più «buona» del termine. Possiamo quindi dire che, oltre all’importanza di vivere i luoghi che si raccontano, è altrettanto importante viverne i personaggi? Per quanto mi riguarda assolutamente sì. Sono convinto che un buon narratore deve essere affetto da una bella dose di «mitomania» con cui fare i conti. Bisogna vedere, sentire quel che si scrive. Altrimenti è dura farlo vedere agli altri.Qualche altro consiglio per gli aspiranti scrittori? Beh, io mi reputo assolutamente tra questi. Se dovessi dare dei consigli, passerei quelli che ho avuto io, da persone preparate, attente, e più che professionali. Non li sto a ripetere qui, ma credo che tra le prime cose ci sia l’allenamento costante, lo scrivere e riscrivere, studiare, leggere i bei libri e buttare alla trentesima pagina quelli che ti «sporcano», senza esitazione.
I SASSI - Recensione
FONTE - a cura di Gianluca De Salve
La vendetta resiste nel tempo oltre qualsiasi perdono
La vendetta resiste nel tempo oltre qualsiasi perdono
Un affare importante e segreto in un mondo senza pietà
Praga, con le sue atmosfere ignote e indecifrabili, con i suoi locali annebbiati dal fumo delle sigarette e rischiarati solo in parte da una debole luce, è lo scenario dell’incontro tra un uomo misterioso e una giovane prostituta. I loro destini si incrociano nel corso di una notte che sembra non finire mai, una notte lunga quanto i loro ricordi, orchestrati in un valzer febbrile da un gioco maledetto che svela le loro esistenze agli occhi l’uno dell’altra in base ai colori di un mazzo di carte, con il rosso e il nero che alternano i loro racconti in un’ondata di emozioni e sensazioni implacabili. E’ la storia di un affare nel mercato nero degli oggetti d’antiquariato. La brama di voler a tutti i costi un pezzo unico, dall’inestimabile valore, lascia dietro di se, in giro per l’Europa, una scia di odio, amore, morte e vendetta in un mondo che non perdona in alcun modo il tradimento, un mondo di professionisti abituati a muoversi come fantasmi, pronti a tutto, senza alcuno scrupolo, con un loro codice di comportamento che non ammette alcuna pietà perché si rischierebbe di compromettere l’onore e il rispetto e di conseguenza il proprio potere. Ma è anche la storia di una bambina abbandonata e di una vita dominata dalla continua ricerca di una possibile soluzione a un vuoto che nessuno riesce a colmare, un vuoto che nessuna scienza può spiegare e nessun contatto umano riesce mai a soddisfare completamente. Fino a un incontro, un amore negato che spegne il desiderio di continuare a vivere perché chiude ogni ricerca e qualsiasi volontà, perché in un lampo definisce l’unica speranza alla quale non possiamo rinunciare come fosse l’aria che respiriamo. Naspini ci cattura in ogni momento con personaggi fortemente caratterizzati da ogni tipo di emozione, personaggi affascinanti ed estremi che si traducono in una tensione che non cala mai, anzi, sale continuamente mentre i pezzettini del puzzle che compongono la vicenda saltano fuori incastrandosi tra loro e avvolgendo i destini dei due protagonisti dell’incontro anche oltre l’ultima carta del mazzo, ripiombando come in un tragico anniversario, nella stanza di quel bar di Praga per ricongiungersi in un finale in cui tutte le storie che si sono trascinate nei ricordi di entrambi esplodono violentemente scontrandosi tra loro, svelando un passato che ha rincorso il futuro per delle vite che «sono come sassi, rotolano uno accanto all’altra, cozzano, si rompono in frammenti; e i frammenti si scontrano con altri frammenti…Ogni vita è ricordo e possibilità di un’altra vita».
Gianluca De Salve
I SASSI - Recensione
FONTE - a cura di Stefano Massarelli
Un uomo di mezza età e una giovane donna sono seduti al tavolo in un locale di Praga. Lui è un uomo d'affari dal passato oscuro, lei una prostituta. L'uomo l'ha adescata, ma non ha voglia di consumare l'atto sessuale, è nervoso e imbarazzato e preferisce rimanere al tavolo a parlare. “Facciamo un gioco”, propone a un tratto. Carta rossa, carta nera. Per ogni carta nera estratta dal mazzo l'uomo parlerà senza sosta per dieci minuti, raccontando la sua storia. Per ogni carta rossa sarà la donna a dover parlare. 50% di probabilità. Iniziano così le storie narrate dai due protagonisti: lui coinvolto in una vecchia storia di mafia e in un furto di un pezzo unico d'antiquariato, lei orfana e precoce, dalle facoltà intellettive straordinarie e dalla carriera spianata come ricercatrice scientifica. Ma le parole corrono veloci, e i conti fatti con il passato non sono ancora finiti. Uno sgarro alla mafia, infatti, non si dimentica, neanche a distanza di vent'anni...Ci sono libri che nascono grandi, altri che nascono per rimanere abbarbicati alla scena letteraria per un breve momento accontentandosi di una stentata contemporaneità, e altri ancora che non nascono affatto, troppo sbiaditi o limitati per ritagliarsi anche il minimo spazio nel vasto panorama editoriale italiano. Tra il brulicare di pubblicazioni di piccolo e medio calibro, finisce così che scrittori di talento come Sacha Naspini finiscano in secondo piano, e che un eccellente romanzo come I sassi passi inosservato, magari archiviato frettolosamente da lettori e addetti ai lavori alla voce "giovani pseudo-scrittori italiani giramondo, post-universitari e dalle dubbie qualità letterarie". Pur meritando un posto molto, molto più in vista. Il libro è infatti un noir esistenziale avvincente e ben scritto, ricco di suspence e di personaggi a tutto tondo, ricco di colpi di scena continui e mai ostentati. Un intreccio di trame che si legano ad arte tra varie città europee (Roma, Barcellona, Praga, Francoforte) e differenti piani temporali. Una storia di mafia, un tradimento che non si perdona, la fuga del figlio del boss alleato con un picciotto del padre e la ricerca di vendetta del Greco, il personaggio più cruento del libro, il cattivo senza scrupoli che ha in serbo la sua vendetta. La semplicità di Sacha Naspini nell'orientare vari intrecci narrativi all'interno di un unico disegno più grande è degna dei migliori thriller di fama internazionale e molte sono le domande che il lettore porta con sé nel susseguirsi della trama. Prima tra tutte: chi è l'uomo in compagnia della prostituta? Davvero difficile interrompere la lettura prima dell'ultima pagina, e anche più difficile scrivere una recensione misurando le parole per non svelare nessun colpo di scena. E lasciando al lettore il piacere di scoprire i segreti uno ad uno, lentamente e con crescente, goduriosa soddisfazione. Fino alla parola fine.
Un uomo di mezza età e una giovane donna sono seduti al tavolo in un locale di Praga. Lui è un uomo d'affari dal passato oscuro, lei una prostituta. L'uomo l'ha adescata, ma non ha voglia di consumare l'atto sessuale, è nervoso e imbarazzato e preferisce rimanere al tavolo a parlare. “Facciamo un gioco”, propone a un tratto. Carta rossa, carta nera. Per ogni carta nera estratta dal mazzo l'uomo parlerà senza sosta per dieci minuti, raccontando la sua storia. Per ogni carta rossa sarà la donna a dover parlare. 50% di probabilità. Iniziano così le storie narrate dai due protagonisti: lui coinvolto in una vecchia storia di mafia e in un furto di un pezzo unico d'antiquariato, lei orfana e precoce, dalle facoltà intellettive straordinarie e dalla carriera spianata come ricercatrice scientifica. Ma le parole corrono veloci, e i conti fatti con il passato non sono ancora finiti. Uno sgarro alla mafia, infatti, non si dimentica, neanche a distanza di vent'anni...Ci sono libri che nascono grandi, altri che nascono per rimanere abbarbicati alla scena letteraria per un breve momento accontentandosi di una stentata contemporaneità, e altri ancora che non nascono affatto, troppo sbiaditi o limitati per ritagliarsi anche il minimo spazio nel vasto panorama editoriale italiano. Tra il brulicare di pubblicazioni di piccolo e medio calibro, finisce così che scrittori di talento come Sacha Naspini finiscano in secondo piano, e che un eccellente romanzo come I sassi passi inosservato, magari archiviato frettolosamente da lettori e addetti ai lavori alla voce "giovani pseudo-scrittori italiani giramondo, post-universitari e dalle dubbie qualità letterarie". Pur meritando un posto molto, molto più in vista. Il libro è infatti un noir esistenziale avvincente e ben scritto, ricco di suspence e di personaggi a tutto tondo, ricco di colpi di scena continui e mai ostentati. Un intreccio di trame che si legano ad arte tra varie città europee (Roma, Barcellona, Praga, Francoforte) e differenti piani temporali. Una storia di mafia, un tradimento che non si perdona, la fuga del figlio del boss alleato con un picciotto del padre e la ricerca di vendetta del Greco, il personaggio più cruento del libro, il cattivo senza scrupoli che ha in serbo la sua vendetta. La semplicità di Sacha Naspini nell'orientare vari intrecci narrativi all'interno di un unico disegno più grande è degna dei migliori thriller di fama internazionale e molte sono le domande che il lettore porta con sé nel susseguirsi della trama. Prima tra tutte: chi è l'uomo in compagnia della prostituta? Davvero difficile interrompere la lettura prima dell'ultima pagina, e anche più difficile scrivere una recensione misurando le parole per non svelare nessun colpo di scena. E lasciando al lettore il piacere di scoprire i segreti uno ad uno, lentamente e con crescente, goduriosa soddisfazione. Fino alla parola fine.
[Stefano Massarelli]
I SASSI - Recensione
Qualcosa di noi è rimasto nei pruchody, ossía nei passaggi, che permettono di attraversare il centro di Praga senza uscire all’aperto, nella fitta rete di piccole strade furtive, nascoste all’interno di blocchi di città vecchissime. Nella Città Vecchia ci imbrogliava questo ordíto di ànditi occulti e comunicazioni infernali, che per ogni verso si spandono e la ricercano tutta.
Così Angelo Maria Ripellino descrive la città misteriosa di Franz Kafka nel suo indimenticabile Praga Magica. Scomodare il nostro più grande esperto di letteratura ceca è d’obbligo per parlare de I Sassi (Edizioni Il Foglio, www.ilfogliolettarario.it, pagine 151, euro 12), il bellissimo romanzo di Sacha Naspini. Lo scrittore grossetano ambienta la sua storia in una Praga avvolta nei misteri che la fondano. È un noir con fortissimi accenti esistenziali quello che Naspini scrive. Ma la forza dell’intero romanzo è nella scrittura felice e suggestiva: la trama avvincente saprà catturare il lettore forte che cerca nella lettura emozioni vere. Di questi tempi magri per la nostra narrativa è davvero difficile trovare libri che si fanno leggere e apprezzare per la loro perfezione. I Sassi è un grandissimo romanzo di uno scrittore vero che conosce la seduzione della parola e soprattutto sa costruire intorno alla bellezza misteriosa della città di Praga un magistrale intreccio esistenziale e giallo con inaspettato colpo di scena finale. Sacha Naspini è uno scrittore di cui si parlerà molto perché coltiva un’idea insuperabile del narrare novecentesco che oscura la mediocrità minimalista delle attuali modi letterarie. A questo punto è imperativo non svelare nulla del racconto e del mistero intrigante nel quale cadono i protagonisti del romanzo. Sono sicuro che il lettore si renderà conto, a lettura iniziata, di non poter fare a meno di arrivare presto alla fine, perché catturato dal vortice di sensazioni forti, toccato nel suo intimo dalle dannazioni di questa storia che prima di tutto rivela l’inferno che alberga in fondo a ogni uomo. Sacha Naspini è uno scrittore di razza, perché la sua narrativa racconta storie, trasmette emozioni. E di questi tempi non è poco.
Nicola Vacca
I SASSI - Recensione - Intervista
::04.03.2008 - FONTE - a cura di Christian Mascheroni
Due vite che si incontrano, due pietre lanciate nel cuore di praga. Il destino che gioca le sue carte. Sul tavolo di un romanzo.
Sacha Naspini: la levigatezza della scrittura
Questo romanzo non ve lo racconterò. Non vi dirò di cosa parla. Perché ci sono libri che necessitano di una spiegazione, o di una frase di rito per attirare il lettore a comprarli. Ma “I sassi” (Edizioni Il Foglio), nuova opera di Sacha Naspini, scrittore e musicista nato a Grosseto, ha una voce così dirompente che vorrei lasciarla trasparire dalle parole stesse dell’autore, senza anticipare nulla. Se non il fatto che dietro all’immaginifico titolo, si cela una storia caleidoscopica, quanto l’anima dei suoi personaggi. Che l’ambientazione, Praga, ha il colore delle vene dove scorre l’inchiostro di un libro avvincente e mai titubante. Profondo come gli abissi della mente, liquido come le lacrime di una scrittura che tocca i sentimenti più diversi, denso come il sangue che scorre, zampilla, e che viene assorbito dalle microstorie e dai colpi di scena della vicenda. Ora però sto zitto. Preferisco mettermi a sedere, ad un tavolo, e girare le carte; domande, risposte. Per capire e conoscere chi è Sacha chi è il suo romanzo.
Ciao Sacha, benvenuto. “I sassi” sono un romanzo. Sono perché riesci a costruire una storia con pietre diverse: generi letterari che si fondono, narratori che si alternano, punti di vista sfaccettati. Partiamo dal genere: come definiresti il tuo romanzo e come vorresti non fosse definito?
Ciao Christian, intanto grazie per l’opportunità che mi dai. Venendo a “I sassi” e al genere di appartenenza, sarei tentato di dire che si tratta di un romanzo di narrativa pura, ma che contenendo “colori” individuabili nel noir (ci sono pistole, morti ammazzati eccetera) viene appunto definito noir, ma solo per semplici motivi d’“identificazione”. Premetto che personalmente non amo granché questo genere, sono stanco di detective che fumano quintali si sigarette, s’imbottiscono di psicofarmaci e hanno la vita a rotoli. Anzi, mi correggo: sono stufo di come questo genere venga ancora affrontato in Italia. La narrativa noir americana, per esempio, offre ben altri panorami. Ovvio che da noi ci sono eccezioni, per fortuna. Potendo scegliere, mi piacerebbe che “I sassi” non fosse definito solo un noir.
Il tuo romanzo può essere letto come il gioco delle carte che diventa strumento di confessione, ovvero un alternarsi di episodi dai colori diversi, che vanno dal rosso del cuore al nero della morte. Ma entrano in gioco anche le sfumature. Tra l’amore e la morte che cosa pervade tutta la storia?
Ne “I sassi” il tema predominate è la vendetta. Credo che la vendetta sia una delle facoltà più importanti dell’uomo. La centralità di questo tema non prevede solo una lettura negativa del termine; è anche uno strumento di espiazione per esempio, nei confronti di sé stessi e della propria vita – non ultimo del futuro che ognuno di noi cerca di guadagnarsi. “Vendicarsi” nei confronti del passato è uno strumento di rivalsa che appartiene a tutti, ed è importante. Per crescere, dare un nome alle cose, dipanare (seppure di poco) la nebbia del domani. Ne “I sassi” questo tema è affrontato nell’accezione più estrema e stronza del termine. Apparentemente tutta la vicenda gira attorno a un pezzo d’antiquariato che provoca morti, tradimenti, fughe; ma in realtà il senso della vendetta che ho cercato di narrare riguarda nello specifico la dignità dei personaggi, e la spasmodica sete di riavere indietro quel che si è perso. In definitiva l’anima.
I personaggi del tuo romanzo sono l’antitesi dello stereotipo, anche se, quasi a sfidare ogni genere letterario, hai scelto i più classici, come la prostituta, il malavitoso etc... sei partito quindi da una sfida con la letteratura oppure è stata una naturale necessità per la trama che avevi in mente?
In fase di stesura pensavo alla storia come alla ricomposizione di un mosaico (per restare in tema “sassi”) distrutto, di cui ho provato a raccogliere, mano a mano, pagina dopo pagina, tutti i frammenti, ricollocandoli al posto giusto. Non è stato facile. La prima bozza l’ho tirata giù in una decina di giorni, ed è stato come vivere sul filo del rasoio: ogni scelta narrativa rischiava di compromettere l’intera architettura della storia, che non volevo definire. Questo significava mettere a repentaglio l’intero impianto narrativo da una riga all’altra. Ma personalmente odio quando uno scrittore “si giustifica” pensando che il lettore potrebbe fraintendere o uscire dalla narrazione. Quando succede lo si avverte chiaramente, e ne va della “credibilità” del libro. Anche la scelta stilistica e i movimenti verbali sui tempi contribuivano, in fase di stesura, a confondermi le idee, ma ho continuato fino in fondo, portando avanti la vicenda servendomi di un gioco di “inquadrature”, flashback e repentine virate sulla soggettiva dei personaggi. Una tecnica “cinematografica”, come ha indicato giustamente Francesca Lenzi in una recente critica del libro. La scelta dei due personaggi-chiave della storia, poi, apparentemente non offriva grandi panorami d’azione (due classici), e anche questo complicava un bel po’ le cose, per non scadere nella banalità. Sì, in qualche modo scrivere “I sassi” è stata anche una “sfida”, per tutti questi motivi. Ma più che con la letteratura, con me stesso. Come sempre, del resto.
Un’altra peculiarità del tuo romanzo è che non ci sono buoni e cattivi, anche se ciò è inevitabile in una storia come la tua. La crudeltà di alcune pagine non è altro che un lato di ognuno di noi, che in alcuni personaggi del libro diventa annientamento umano, in altre lo spettro di un dolore profondo, di una ferita aperta in un animo sensibile…
Ne “I sassi” ho voluto portare all’eccesso le cavità più oscure dell’animo umano – o almeno ci ho provato. Ma importante era una cosa: che si percepisse il lato sensibile di ogni personaggio, in modo da non far passare la crudeltà e l’annientamento (come giustamente dici tu) come gratuita, o a semplice scopo d’intrattenimento. Il sottofondo oscuro di una persona può avere strapiombi infiniti, dove qualcuno può perdere l’identità delle cose e di se stesso. Tutto il libro, in fondo, è un’assidua ricerca (non solo materiale) di appartenenza.
“I sassi” è un palcoscenico, quando i due protagonisti si raccontano e si confidano, ed è uno schermo cinematografico quando, nei flash back e nei momenti clue del libro, le scene sono impattanti, si rincorrono, tolgono il fiato. E’ stato difficile rendere simbiotici questi due aspetti?
Come dicevo, il rischio maggiore era far cadere il castello di carte da un momento all’altro, e seppure avessi ben chiaro dove andare a parare dovevo cesellare ogni passaggio con “sgambetti” e piccole “strategie letterarie” che non impallassero la vicenda. La chiacchierata tra Eva e il misterioso sconosciuto si alterna nel libro con uno strano gioco di carte, e così si intervalla il resoconto delle loro vite, fino a quel momento, in cui si trovano seduti al tavolo di un bar di Praga. Come due distanti parallele che cozzano all’improvviso, inaspettatamente. Diciamo che via via che la narrazione incedeva, mi lasciavo “sorprendere” anch’io. È un metodo di scrittura per me essenziale.
Lo sfondo è quello di Praga, ma è un luogo metaforico, perché per tutti noi c’è una città malinconica e notturna che ospita le nostre solitudini. Qual è la tua Praga personale?
L’idea de “I sassi” ha cominciato a girarmi in testa dopo il mio primo viaggio a Praga, festeggiai lì i miei ventinove anni. Rientrato in Italia iniziai la stesura del libro: sono un estremo sostenitore di Parigi (dove spero di trasferirmi presto), ma quella città mi abbagliò tanto che decisi di ambientare la storia lì. Lo feci da subito, ero ancora pervaso da quelle atmosfere e tentai di riportarle nel libro, per dargli quella “magia”. Ci sono città che ti s’installano dentro, apparentemente senza motivo. Il senso di appartenenza (non a caso) che provo ogni volta che vado a Praga mi toglie sempre il fiato. Ma per rispondere alla tua domanda posso dire questo: la mia Praga personale è un luogo che mi ospita quotidianamente, e che non saprei definire. Di certo c’entra la pagina bianca, che se ne sta là, così linda, mi tenta in continuazione di metterci sopra qualcosa.
Parlando della tua genesi come scrittore, quali sono stati i tuoi primi passi? A quando risale la prima gioia della pubblicazione?
Già a sei, sette anni mi divertivo a scrivere storie, filastrocche, cose così. Il primo riconoscimento “ufficiale” è stato a tredici anni, quando mi piazzai terzo a un concorso di poesia indetto dalle scuole. Poi è venuto il liceo, la musica e tutto il resto, per anni ho abbandonato quei miei quaderni, anche se in realtà di tanto in tanto tornavo a ficcarci il naso dentro. E cominciavo a buttare giù delle storie, che puntualmente abbandonavo al primo muro. Ho iniziato ad affrontare la cosa con perseveranza circa sei anni fa, a venticinque anni, decidendo un giorno di dare sfogo una volta per tutte a quella smania che di tanto in tanto mi coglieva. Il risultato fu un romanzo, “Quel maledetto filo invisibile”, che sta bene dove sta, sul fondo del mio cassetto. Poi sono iniziati i primi racconti, ho vinto vari concorsi letterari, sono stato inserito in diverse antologie e riviste. Aggiudicandomi la segnalazione al premio “Licurgo Cappelletti” indetto dalla casa editrice Il foglio ho conosciuto nel 2005 Gordiano Lupi, il mio attuale editore.
Tu hai già pubblicato un romanzo, “L’ingrato”, uscito due anni fa circa. Rispetto a questo libro d’esordio, quali sono le tue aspettative? E’ cambiato il tuo modo di percepire “l’essere uno scrittore”
Il mio esordio letterario è del marzo 2006, per la casa editrice Effequ. “L’ingrato” uscì che mi trovavo in Inghilterra per un ciclo di studi sulla lingua. È un romanzo a cui tengo tantissimo, e non solo perché si tratta della mia prima pubblicazione ufficiale: ci ho buttato dentro un bel pezzo d’anima. Dopo “L’ingrato” è venuto il tascabile “Il risultato”, per Magnetica Edizioni, nel novembre dello stesso anno. Di fronte ad ogni nuovo progetto editoriale mi pongo in maniera diversa, in termini di stile, impianto di narrazione eccetera. La scrittura è anche ricerca, e personalmente non mi sentirei corretto nei miei confronti e nei confronti di chi mi legge se per esempio dessi alle stampe qualcosa di “già fatto”. Certo, questo può rappresentare un rischio, perché un lettore, magari leggendo “I sassi”, potrebbe nutrire false aspettative se successivamente pensasse di acquistare una copia de L’ingrato, che è totalmente diverso per espressione, genere e così via. Ma mi annoierei ad affrontare due progetti letterari simili, per me sarebbe deleterio, e la scrittura ne risentirebbe. E poi quando un buon libro è un buon libro, basta a sé. Ovviamente, per quanto riguarda i miei lavori, non devo essere io a giudicare.
Tu, oltre a scrivere romanzi e racconti, scrivi testi e musica per le canzoni del tuo gruppo, i Vaderrando (www.vaderrando.it), di cui sei anche la voce. Che rapporto hai con la musica? Che differenza emozionale sussiste fra l’essere musicista ed essere scrittore?
Tra musica e scrittura ci sono meno differenze di quel che si possa pensare. Sono due “mondi vicini”, almeno per quanto mi riguarda. Scrivere pezzi per i Vaderrando per me è semplicemente un altro modo di scrivere, tutto qui. Mi piace la piccola magia che si crea nella parola, quando viene dilatata da un fondo musicale. Per ovvi motivi è un ambiente “letterario” angusto, ma che offre molto al non detto.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Cosa stai scrivendo?
Al momento sto seguendo la promozione de “I sassi”, con la collaborazione dell’ufficio stampa de Il foglio stiamo facendo un ottimo lavoro, specie per quanto riguarda la diffusione del libro negli ambienti della critica; l’agenzia letteraria T&Z si sta occupando di promuovere il libro per una eventuale traduzione all’estero. Inoltre ho un nuovo romanzo in presentazione presso alcune case editrici italiane, “Povero Cristo”, per me una sorta di esperimento, linguaggio underground e tutto il resto. Al momento sono nel bel mezzo della stesura di un nuovo lavoro, titolo provvisorio “L’effetto Kirlian”, tra thriller e narrativa. Non ultimo, sono orgoglioso di far parte del collettivo di scrittori UBV, Underground Book Village (http://www.myspace.com/underground_book_village). A breve sarà in libreria la nostra prima fatica: “Le 7 vite di Dalila e Achille”, ovvero sette istantanee sul tema del destino. I compagni di viaggio sono: Alessandro Cascio, Frank Solitario, Walter Serra, Vincenzo Trama, Emiliano Maramonte e Francesco Dell’Olio. Credo in UBV, è un progetto che manca nel panorama editoriale italiano. Nell’attuale progetto sono comprese delle splendide tavole che ritraggono gli “Scheletri” di Maurizio Ravera, grande artista della FotoGrafia. Penso che UBV scuoterà più di un’anima (pensa che in quarta di copertina abbiamo un commento dell’esimio Benedetto XVI, che da sempre ci supporta e viene spesso – in borghese, beninteso – ai concerti miei e del buon Cascio). Quello tra Dalila e Achille è forse lo stesso incontro, che si verifica però in sette dimensioni diverse. Il libro conterrà anche delle “bonus tracks” (mie, del Solitario e di Cascio) che sviseranno ulteriormente sul tema. Le grafiche sono state affidate ai ragazzi di Tribe (http://www.myspace.com/tribeart), che hanno fatto un lavoro egregio. In rete sono già presenti interviste, estratti, richieste d’amore, minacce di morte… “Le 7 vite di Dalila e Achille” non sarà solo un’antologia, ma un manifesto. E costerà solo 11 euro.
Un’ultima domanda: che tipo di sasso sei e che tipo di sasso vorresti diventare per essere raccolto dal tuo lettore?
Sono un sasso sfaldato, ho perso schegge in giro, un po’ come tutti, e la grandine mi trasforma continuamente. Per i miei lettori? Boh… La risposta “fighetta” sarebbe: vorrei diventare uno di quei sassolini fastidiosi, che ti s’infilano nella scarpa all’improvviso. E forse è così.
Due vite che si incontrano, due pietre lanciate nel cuore di praga. Il destino che gioca le sue carte. Sul tavolo di un romanzo.
Sacha Naspini: la levigatezza della scrittura
Questo romanzo non ve lo racconterò. Non vi dirò di cosa parla. Perché ci sono libri che necessitano di una spiegazione, o di una frase di rito per attirare il lettore a comprarli. Ma “I sassi” (Edizioni Il Foglio), nuova opera di Sacha Naspini, scrittore e musicista nato a Grosseto, ha una voce così dirompente che vorrei lasciarla trasparire dalle parole stesse dell’autore, senza anticipare nulla. Se non il fatto che dietro all’immaginifico titolo, si cela una storia caleidoscopica, quanto l’anima dei suoi personaggi. Che l’ambientazione, Praga, ha il colore delle vene dove scorre l’inchiostro di un libro avvincente e mai titubante. Profondo come gli abissi della mente, liquido come le lacrime di una scrittura che tocca i sentimenti più diversi, denso come il sangue che scorre, zampilla, e che viene assorbito dalle microstorie e dai colpi di scena della vicenda. Ora però sto zitto. Preferisco mettermi a sedere, ad un tavolo, e girare le carte; domande, risposte. Per capire e conoscere chi è Sacha chi è il suo romanzo.
Ciao Sacha, benvenuto. “I sassi” sono un romanzo. Sono perché riesci a costruire una storia con pietre diverse: generi letterari che si fondono, narratori che si alternano, punti di vista sfaccettati. Partiamo dal genere: come definiresti il tuo romanzo e come vorresti non fosse definito?
Ciao Christian, intanto grazie per l’opportunità che mi dai. Venendo a “I sassi” e al genere di appartenenza, sarei tentato di dire che si tratta di un romanzo di narrativa pura, ma che contenendo “colori” individuabili nel noir (ci sono pistole, morti ammazzati eccetera) viene appunto definito noir, ma solo per semplici motivi d’“identificazione”. Premetto che personalmente non amo granché questo genere, sono stanco di detective che fumano quintali si sigarette, s’imbottiscono di psicofarmaci e hanno la vita a rotoli. Anzi, mi correggo: sono stufo di come questo genere venga ancora affrontato in Italia. La narrativa noir americana, per esempio, offre ben altri panorami. Ovvio che da noi ci sono eccezioni, per fortuna. Potendo scegliere, mi piacerebbe che “I sassi” non fosse definito solo un noir.
Il tuo romanzo può essere letto come il gioco delle carte che diventa strumento di confessione, ovvero un alternarsi di episodi dai colori diversi, che vanno dal rosso del cuore al nero della morte. Ma entrano in gioco anche le sfumature. Tra l’amore e la morte che cosa pervade tutta la storia?
Ne “I sassi” il tema predominate è la vendetta. Credo che la vendetta sia una delle facoltà più importanti dell’uomo. La centralità di questo tema non prevede solo una lettura negativa del termine; è anche uno strumento di espiazione per esempio, nei confronti di sé stessi e della propria vita – non ultimo del futuro che ognuno di noi cerca di guadagnarsi. “Vendicarsi” nei confronti del passato è uno strumento di rivalsa che appartiene a tutti, ed è importante. Per crescere, dare un nome alle cose, dipanare (seppure di poco) la nebbia del domani. Ne “I sassi” questo tema è affrontato nell’accezione più estrema e stronza del termine. Apparentemente tutta la vicenda gira attorno a un pezzo d’antiquariato che provoca morti, tradimenti, fughe; ma in realtà il senso della vendetta che ho cercato di narrare riguarda nello specifico la dignità dei personaggi, e la spasmodica sete di riavere indietro quel che si è perso. In definitiva l’anima.
I personaggi del tuo romanzo sono l’antitesi dello stereotipo, anche se, quasi a sfidare ogni genere letterario, hai scelto i più classici, come la prostituta, il malavitoso etc... sei partito quindi da una sfida con la letteratura oppure è stata una naturale necessità per la trama che avevi in mente?
In fase di stesura pensavo alla storia come alla ricomposizione di un mosaico (per restare in tema “sassi”) distrutto, di cui ho provato a raccogliere, mano a mano, pagina dopo pagina, tutti i frammenti, ricollocandoli al posto giusto. Non è stato facile. La prima bozza l’ho tirata giù in una decina di giorni, ed è stato come vivere sul filo del rasoio: ogni scelta narrativa rischiava di compromettere l’intera architettura della storia, che non volevo definire. Questo significava mettere a repentaglio l’intero impianto narrativo da una riga all’altra. Ma personalmente odio quando uno scrittore “si giustifica” pensando che il lettore potrebbe fraintendere o uscire dalla narrazione. Quando succede lo si avverte chiaramente, e ne va della “credibilità” del libro. Anche la scelta stilistica e i movimenti verbali sui tempi contribuivano, in fase di stesura, a confondermi le idee, ma ho continuato fino in fondo, portando avanti la vicenda servendomi di un gioco di “inquadrature”, flashback e repentine virate sulla soggettiva dei personaggi. Una tecnica “cinematografica”, come ha indicato giustamente Francesca Lenzi in una recente critica del libro. La scelta dei due personaggi-chiave della storia, poi, apparentemente non offriva grandi panorami d’azione (due classici), e anche questo complicava un bel po’ le cose, per non scadere nella banalità. Sì, in qualche modo scrivere “I sassi” è stata anche una “sfida”, per tutti questi motivi. Ma più che con la letteratura, con me stesso. Come sempre, del resto.
Un’altra peculiarità del tuo romanzo è che non ci sono buoni e cattivi, anche se ciò è inevitabile in una storia come la tua. La crudeltà di alcune pagine non è altro che un lato di ognuno di noi, che in alcuni personaggi del libro diventa annientamento umano, in altre lo spettro di un dolore profondo, di una ferita aperta in un animo sensibile…
Ne “I sassi” ho voluto portare all’eccesso le cavità più oscure dell’animo umano – o almeno ci ho provato. Ma importante era una cosa: che si percepisse il lato sensibile di ogni personaggio, in modo da non far passare la crudeltà e l’annientamento (come giustamente dici tu) come gratuita, o a semplice scopo d’intrattenimento. Il sottofondo oscuro di una persona può avere strapiombi infiniti, dove qualcuno può perdere l’identità delle cose e di se stesso. Tutto il libro, in fondo, è un’assidua ricerca (non solo materiale) di appartenenza.
“I sassi” è un palcoscenico, quando i due protagonisti si raccontano e si confidano, ed è uno schermo cinematografico quando, nei flash back e nei momenti clue del libro, le scene sono impattanti, si rincorrono, tolgono il fiato. E’ stato difficile rendere simbiotici questi due aspetti?
Come dicevo, il rischio maggiore era far cadere il castello di carte da un momento all’altro, e seppure avessi ben chiaro dove andare a parare dovevo cesellare ogni passaggio con “sgambetti” e piccole “strategie letterarie” che non impallassero la vicenda. La chiacchierata tra Eva e il misterioso sconosciuto si alterna nel libro con uno strano gioco di carte, e così si intervalla il resoconto delle loro vite, fino a quel momento, in cui si trovano seduti al tavolo di un bar di Praga. Come due distanti parallele che cozzano all’improvviso, inaspettatamente. Diciamo che via via che la narrazione incedeva, mi lasciavo “sorprendere” anch’io. È un metodo di scrittura per me essenziale.
Lo sfondo è quello di Praga, ma è un luogo metaforico, perché per tutti noi c’è una città malinconica e notturna che ospita le nostre solitudini. Qual è la tua Praga personale?
L’idea de “I sassi” ha cominciato a girarmi in testa dopo il mio primo viaggio a Praga, festeggiai lì i miei ventinove anni. Rientrato in Italia iniziai la stesura del libro: sono un estremo sostenitore di Parigi (dove spero di trasferirmi presto), ma quella città mi abbagliò tanto che decisi di ambientare la storia lì. Lo feci da subito, ero ancora pervaso da quelle atmosfere e tentai di riportarle nel libro, per dargli quella “magia”. Ci sono città che ti s’installano dentro, apparentemente senza motivo. Il senso di appartenenza (non a caso) che provo ogni volta che vado a Praga mi toglie sempre il fiato. Ma per rispondere alla tua domanda posso dire questo: la mia Praga personale è un luogo che mi ospita quotidianamente, e che non saprei definire. Di certo c’entra la pagina bianca, che se ne sta là, così linda, mi tenta in continuazione di metterci sopra qualcosa.
Parlando della tua genesi come scrittore, quali sono stati i tuoi primi passi? A quando risale la prima gioia della pubblicazione?
Già a sei, sette anni mi divertivo a scrivere storie, filastrocche, cose così. Il primo riconoscimento “ufficiale” è stato a tredici anni, quando mi piazzai terzo a un concorso di poesia indetto dalle scuole. Poi è venuto il liceo, la musica e tutto il resto, per anni ho abbandonato quei miei quaderni, anche se in realtà di tanto in tanto tornavo a ficcarci il naso dentro. E cominciavo a buttare giù delle storie, che puntualmente abbandonavo al primo muro. Ho iniziato ad affrontare la cosa con perseveranza circa sei anni fa, a venticinque anni, decidendo un giorno di dare sfogo una volta per tutte a quella smania che di tanto in tanto mi coglieva. Il risultato fu un romanzo, “Quel maledetto filo invisibile”, che sta bene dove sta, sul fondo del mio cassetto. Poi sono iniziati i primi racconti, ho vinto vari concorsi letterari, sono stato inserito in diverse antologie e riviste. Aggiudicandomi la segnalazione al premio “Licurgo Cappelletti” indetto dalla casa editrice Il foglio ho conosciuto nel 2005 Gordiano Lupi, il mio attuale editore.
Tu hai già pubblicato un romanzo, “L’ingrato”, uscito due anni fa circa. Rispetto a questo libro d’esordio, quali sono le tue aspettative? E’ cambiato il tuo modo di percepire “l’essere uno scrittore”
Il mio esordio letterario è del marzo 2006, per la casa editrice Effequ. “L’ingrato” uscì che mi trovavo in Inghilterra per un ciclo di studi sulla lingua. È un romanzo a cui tengo tantissimo, e non solo perché si tratta della mia prima pubblicazione ufficiale: ci ho buttato dentro un bel pezzo d’anima. Dopo “L’ingrato” è venuto il tascabile “Il risultato”, per Magnetica Edizioni, nel novembre dello stesso anno. Di fronte ad ogni nuovo progetto editoriale mi pongo in maniera diversa, in termini di stile, impianto di narrazione eccetera. La scrittura è anche ricerca, e personalmente non mi sentirei corretto nei miei confronti e nei confronti di chi mi legge se per esempio dessi alle stampe qualcosa di “già fatto”. Certo, questo può rappresentare un rischio, perché un lettore, magari leggendo “I sassi”, potrebbe nutrire false aspettative se successivamente pensasse di acquistare una copia de L’ingrato, che è totalmente diverso per espressione, genere e così via. Ma mi annoierei ad affrontare due progetti letterari simili, per me sarebbe deleterio, e la scrittura ne risentirebbe. E poi quando un buon libro è un buon libro, basta a sé. Ovviamente, per quanto riguarda i miei lavori, non devo essere io a giudicare.
Tu, oltre a scrivere romanzi e racconti, scrivi testi e musica per le canzoni del tuo gruppo, i Vaderrando (www.vaderrando.it), di cui sei anche la voce. Che rapporto hai con la musica? Che differenza emozionale sussiste fra l’essere musicista ed essere scrittore?
Tra musica e scrittura ci sono meno differenze di quel che si possa pensare. Sono due “mondi vicini”, almeno per quanto mi riguarda. Scrivere pezzi per i Vaderrando per me è semplicemente un altro modo di scrivere, tutto qui. Mi piace la piccola magia che si crea nella parola, quando viene dilatata da un fondo musicale. Per ovvi motivi è un ambiente “letterario” angusto, ma che offre molto al non detto.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Cosa stai scrivendo?
Al momento sto seguendo la promozione de “I sassi”, con la collaborazione dell’ufficio stampa de Il foglio stiamo facendo un ottimo lavoro, specie per quanto riguarda la diffusione del libro negli ambienti della critica; l’agenzia letteraria T&Z si sta occupando di promuovere il libro per una eventuale traduzione all’estero. Inoltre ho un nuovo romanzo in presentazione presso alcune case editrici italiane, “Povero Cristo”, per me una sorta di esperimento, linguaggio underground e tutto il resto. Al momento sono nel bel mezzo della stesura di un nuovo lavoro, titolo provvisorio “L’effetto Kirlian”, tra thriller e narrativa. Non ultimo, sono orgoglioso di far parte del collettivo di scrittori UBV, Underground Book Village (http://www.myspace.com/underground_book_village). A breve sarà in libreria la nostra prima fatica: “Le 7 vite di Dalila e Achille”, ovvero sette istantanee sul tema del destino. I compagni di viaggio sono: Alessandro Cascio, Frank Solitario, Walter Serra, Vincenzo Trama, Emiliano Maramonte e Francesco Dell’Olio. Credo in UBV, è un progetto che manca nel panorama editoriale italiano. Nell’attuale progetto sono comprese delle splendide tavole che ritraggono gli “Scheletri” di Maurizio Ravera, grande artista della FotoGrafia. Penso che UBV scuoterà più di un’anima (pensa che in quarta di copertina abbiamo un commento dell’esimio Benedetto XVI, che da sempre ci supporta e viene spesso – in borghese, beninteso – ai concerti miei e del buon Cascio). Quello tra Dalila e Achille è forse lo stesso incontro, che si verifica però in sette dimensioni diverse. Il libro conterrà anche delle “bonus tracks” (mie, del Solitario e di Cascio) che sviseranno ulteriormente sul tema. Le grafiche sono state affidate ai ragazzi di Tribe (http://www.myspace.com/tribeart), che hanno fatto un lavoro egregio. In rete sono già presenti interviste, estratti, richieste d’amore, minacce di morte… “Le 7 vite di Dalila e Achille” non sarà solo un’antologia, ma un manifesto. E costerà solo 11 euro.
Un’ultima domanda: che tipo di sasso sei e che tipo di sasso vorresti diventare per essere raccolto dal tuo lettore?
Sono un sasso sfaldato, ho perso schegge in giro, un po’ come tutti, e la grandine mi trasforma continuamente. Per i miei lettori? Boh… La risposta “fighetta” sarebbe: vorrei diventare uno di quei sassolini fastidiosi, che ti s’infilano nella scarpa all’improvviso. E forse è così.
lunedì 6 aprile 2009
I SASSI - Recensione
::28.01.2008 - Corriere Nazionale - a cura di Stefania Nardini
"I SASSI", del giovane Sacha Naspini, vero e proprio gioiello nel panorama del noir. IL BALORDO, LA “LUCCIOLA” E LA PRIMAVERAUn gioiello. Voglio definirlo per ciò che vale rispetto alla valanga di pubblicazioni del genere noir. Sacha Naspini, lettore di questa pagina, un giorno mi ha chiesto se poteva inviarmi il suo romano. Gli ho detto di sì. Bella copertina. Bel titolo: “I sassi”. L’editore lo conosco, è “Il Foglio”. Piccola casa editrice che si è sempre presentata con una riga di chiarimento per gli autori: “non siamo editori a pagamento”. Infatti il romanzo di questo trentenne grossetano che ha un nome russo solo perché la mamma, che lo mise al mondo molto giovane, era appassionata di eroi di fotoromanzi, è stato pubblicato seguendo il criterio della qualità. Ed eccolo con la sua potenza narrativa in cui si intrecciano storie di vite, di città europee, in un periodo che va dal ’68 ai giorni nostri. Una scrittura quella di Naspini che ha un piglio estetico ed emozionale che si lancia in intrecci ben dosati e colpi d scena. Un uomo e una puttana che si incontrano. Detta così sembrerebbe una trama scontata. E parlano. Direte che pure questa non è una novità. Ma chi è la puttana di nome Eva, e lo sconosciuto arrivato a Praga con il suo impermeabile e una valigia di ricordi? C’è tutto in questa storia. Dalla vecchia mala romana, alle lacrime della città cara a Kundera. C’è tutto. C’è il sentimento, il rischio,l’ingenuità, la vita che quando si diverte è peggio di una puttana. Leggetelo questo libro. Perché il giovane Sacha è un talento vero. Non mi piacciono i paragoni, e forse non esistono paragoni quando la scrittura di una persona viene dall’anima. Un libro che si legge in un soffio, di quelli che vorresti non arrivare mai alla fine. Un libro che entra nei personaggi senza pregiudizi né remore, ma abbandonandosi al loro modo di essere. Sacha Naspini, 31 anni, ha al suo attivo altri due romanzi, sempre pubblicati per piccole case editrici. Questo che ho avuto il privilegio di leggere spero varchi i confini, spero venga tradotto. Sarebbe il risultato che merita un giovane scrittore e un editore che, seppur piccolo, si impegna nella qualità. Uno schiaffo alla logica de grandi circuiti editoriali che apprezzano solo i Moccia di turno. Finché durano. Anzi, finché portano profitti.
I SASSI - Recensione
::21.01.2008 - FONTE
Praga è sicuramente una città magica, uno di quei posti che danno a una storia qualcosa di misterioso, naturalmente a patto che l’autore abbia una storia da raccontare e sappia farlo. Sacha Naspini possiede entrambe le cose e ha saputo confezionare un libro affascinante. Nonostante la nutrita galleria di personaggi, i protagonisti del romanzo sono due: un killer della mafia e una squillo d’alto bordo che, si scopre nel racconto, è anche una donna dotata di una mente matematica eccezionale. I due si incontrano intenzionalmente e, in un bar, iniziano un gioco che consiste nel raccontare se stessi in base al dorso della carta scelta. Intanto intorno a loro, e poi anche con loro, si consumano intrighi e vendette mafiose. Un libro davvero bello!
I SASSI - Recensione
::17.01.2008 - FONTE - a cura di Gianna De Santis
Si entra in punta di piedi in questo romanzo di Sacha Naspini, come se si camminasse sui sassi di un fiume, con la sensazioni a volte di scivolare. Poi mano a mano che la storia si snoda, ci entri dentro con l'anima: ti prende, ti avvolge, non riesci quasi a farne a meno, devi sapere come va a finire, a quale verità porterà, cosa nasconde ogni pagina e cosa svelerà. Sacha Naspini, giovane scrittore toscano, racconta “I sassi” (Edizioni Il Foglio, 12 euro) con una facilità impressionante di scrittura, morbida, avventurosa, dolce a seconda dei tratti che va a dipingere: di verde-avventura tutto quello che ruota attorno ad un pezzo di antiquariato; di “noir” la sete di vendetta che mai si è sopita in trent'anni; di rosso l'amore e la passione che inevitabilmente accompagna i personaggi. Ma non manca il sapore del viaggio lungo le grandi capitali europee, e soprattutto quello antico e malinconico di Praga. “I sassi” è un romanzo che si snoda in Europa partendo dall'Italia, ti accompagna alla scoperta del mondo andando in evitabilmente a scoprire la verità, la soluzione di tutta la storia. Due protagonisti che sembrano incontrarsi per caso, ma non proprio tanto, vite apparenti che si raccontano attraverso un gioco di carte. Ed è tutto in questo concetto di “ gioco.. scoperta.. verità” che si arriva alla conclusione, un finale che lascia spiazzati, ma che non lascia l'amaro sapore in bocca della vendetta. Bello e toccante il passo: “In fondo ogni uomo è una pietra, a suo modo. [...] Le vite sono come i sassi, rotolano una accanto all'altra, cozzano, si rompono in frammenti; e i frammenti si scontrano con altri frammenti… Una vita può raccontare altre vite, o esserne il riassunto...”.
I SASSI - Recensione
::28.12.2007 - FONTE - a cura di Gianfranco Franchi
È un romanzo a incastro, giocato amalgamando tre storie, per alternanza di flashback e flashforward: la prima è quella di una giovane coppia clandestina, che viveva il sogno d’un amore impossibile viaggiando per l’Europa, lei incinta del marito violento e crudele, lui figlio d’un mercante d’arte, destinato a scontare, come in una tragedia greca, le colpe del padre; la seconda è quella di una prostituta di Praga che voleva raccogliere sassi in giro per il mondo: e dei suoi bruciati talenti musicali e matematici, e della sua vita segnata da un irrealizzabile desiderio d’appartenenza; la terza è quella di spettri in vita, morti non morti che tornano per regolare conti. Al principio della storia, uno di questi spettri senza nome, vivo d’una vita cambiata per sempre trent’anni prima, sta dialogando con la giovane prostituta; si rivelano raccontandosi la loro storia, il device è un mazzo di carte. E a questo punto devo essere necessariamente ellittico ed evasivo per non rivelare niente di fondamentale al lettore; “I sassi” è un’opera fondata su una trama rompicapo – appare una scatola misteriosa che sembra reminiscenza lynchiana, allegoria della decadenza e della rovina: dell’epifania della morte – e raccontarla significa annientare il piacere della lettura. Scriverò piuttosto che nei momenti migliori della narrazione Sacha Naspini sembra giocare con il lato oscuro delle storie dei suoi personaggi, col loro passato d’amore e d’ombra, con la tragedia dell’agnizione della verità famigliare, come uno dei migliori narratori degli anni Novanta, Paolo Maurensig; non è solo l’ambientazione (provvisoria) praghese a suggerire l’interiorizzazione della lezione di degenerazione identitaria e famigliare dello scrittore di Gorizia, ma l’espediente del disvelamento progressivo dell’indicibile, un indicibile che coincide con un orrore domestico, imprevedibile perché localizzato in contesti apparentemente sicuri e salvifici, a convincermi della similarità. Non mancano omicidi e violenze, con crescendo dal retrogusto thriller yankee; eppure non riesco a scrivere che la narrazione rientri a pieno titolo in un genere e uno soltanto. Il romanzo è un interessante punto d’incontro tra il noir e l’indagine sulla natura dei sentimenti, sull’identità, sui legami di sangue. La congettura d’una futura produzione narrativa incentrata sull’analisi dei legami, sul dolore e sullo stupore dell’innocenza, e sul chiaroscuro dell’esperienza, spinge ad avere fiducia in Naspini; la capacità di tratteggiare umanità prigioniera di desideri e sentimenti, quando nell’avidità, quando nell’appartenenza, quando nella violenza, originerà storie mai estranee a intelligenti simbolismi. Dosando con equilibrio escamotage e artifici come i colpi di scena, gli scambi e i deus ex machina, tappa successiva a questa letteratura sarà l’adattamento teatrale. Siamo dalle parti di quegli autori che amano smascherare la menzogna: in altre parole, siamo tra i cantori del lato oscuro dell’umanità. Promettente, molto.
I SASSI - Recensione
::16.12.2007 - a cura di Francesca Lenzi
UN ROMANZO "CINEMATOGRAFICO". Ho avuto, sin dalla prima pagina, la netta sensazione di essere perfettamente in grado di trovare una corrispondenza visiva a ciò che stavo leggendo. L’opera di Sacha Naspini possiede due caratteristiche che hanno il dono di essere pregi rari, ma preziosi per un qualsiasi prodotto letterario, perfino necessari per una storia noir come quella narrata ne I sassi, sullo sfondo di una Praga, teatro di destini crudeli e beffardi, che legano vite travolte dalla passione e dall’odio, costrette in rimpianti e vendette. L’autore ordisce un intreccio di accattivante fascino, suscitando curiosità nel lettore, coinvolto in un gioco di situazioni ed eventi, disposti, sapientemente, in un groviglio di accadimenti inizialmente di difficile interpretazione e in un secondo tempo dotati di giustificazione logica, emessa naturalmente dall’imprevedibile soluzione allestita che, ovviamente, non intendo qui svelare. Inoltre, riprendendo il concetto già espresso in precedenza, mi preme sottolineare la capacità de I sassi di rendere concretamente rappresentabile l’allestimento ambientale, comprensivo delle figure che vi recitano. Il lettore non incontra alcun ostacolo nel momento in cui cerca di immaginare un determinato luogo, o quando tenta di dare un volto a un personaggio; ogni singolo elemento è magicamente raffigurabile, in un tattile procedimento di ricostruzione del quadro generale. In questo senso il libro di Naspini ha più di un respiro che tende al “cinematografico”, cogliendo in esso, appunto, le attitudini verso l’istintivo processo visivo, senza privarsi, in ogni caso, di un’emozionale e felice dimensione letteraria, riconoscibile laddove l’azione si sospende per dare spazio al pensiero, ai sentimenti, ai silenzi che solo le pagine scritte possono raccontare.
I SASSI - Recensione
::28.11.2007 - FONTE - a cura di Alessandra Anzivino
“Questo sa scrivere, è stato il mio primo pensiero dopo le prime pagine del romanzo, di quelli che smetti solo se crolli dal sonno. E francamente, accade abbastanza di rado” Walter Serra... Abbastanza stupita, ho scorso con interesse la prefazione di questo romanzo, pensando, onestamente, che fosse piuttosto pericolosa una tale passerella d’onore stesa ai piedi dell’autore, avrebbe potuto generare delle aspettative esagerate nel lettore.Ho dovuto ricredermi dopo pochissimo, Walter Serra ha solo dato delle importanti istruzioni all’uso per avvicinarsi a quest’opera dai contorni indefinibili, impossibile da rinchiudere in una analisi completa e soprattutto avulsa da un genere letterario preciso.Sacha Naspini non solo sa scrivere, come giustamente sottolineato, ma ha messo sulla carta decine di idee folgoranti ordinandole con razionalità e umiltà, pur conscio della loro potenza e presa sul lettore.I Sassi sono elementi fortemente simbolici e reali della storia, fungono da legame ideale tra due storie che si incrociano: la prima è una storia di sgarri e vendette tra malavitosi, il cui sfondo narrativo è inserito nel collezionismo d’arte, la seconda è la biografia angosciosa di una donna dalle potenzialità intellettive eccezionali che sceglie di perdersi nel mondo della prostituzione per cercare di azzerare la sua vita.Due confessioni confezionate con uno stile di racconto diverso, due piani di narrazione che corrono paralleli e si intersecano magistralmente quando la trama lo richiede.Il linguaggio, la descrizione dei luoghi è diversa per ogni episodio narrato, Naspini conosce a menadito la terminologie e le tinte forti del genere noir e ne fa un uso sapiente e calibrato, così da subito sappiamo con chi abbiamo a che fare: chi tira le fila, chi è un semplice scagnozzo e chi ha una mente criminale superiore.I personaggi sono descritti con rigorosità ma senza indulgere troppo sulle loro peculiarità, sono bandite inutili mitizzazioni del crimine, e non c’è nessun intento caricaturale; tutti i malavitosi di questo libro sono uniti sotto un comune desiderio: la cieca vendetta, una sorta di furia malefica che, partendo da sentimenti umanissimi come l’amore per un figlio o per una donna, si trasformano in baratri ineluttabili nel quale precipiteranno tutti.La storia di Eva, prostituta d’alto bordo è invece delineata con una forte connotazione intimista e molto introspettiva. Certo lo stile narrativo è sempre piuttosto crudo, però le situazioni raccontante, gli abissi di dolore che si celano nelle visioni oniriche della protagonista, smuovono nel lettore qualcosa di più che una semplice attesa dell’avvenimento successivo, anzi necessitano di un tempo di riflessione.Eva arriverà fino ai margini dei baratri dei suoi aguzzini ma riuscirà grazie ai suoi crediti disattesi a lungo con il destino ad evitare il peggio.I sassi sullo sfondo: ” le vite sono come i sassi, rotolano una accanto all’altra, cozzano si rompono in frammenti; e i frammenti si scontrano con altri frammenti…Ogni vita è ricordo e possibilità di un’altra vita.”; per un sasso da collezione si scatenerà una guerra diabolica, grazie ad un sogno di libertà, che immagina una vita alla ricerca di pietre in tutto il mondo, il romanzo avrà un fine consolatorio.Nessuna delusione per il lettore noir puro, abituato al peggio e alla rielaborazione privata del male assorbito, qui resta comunque un’atmosfera tesa e angosciosa, la consapevolezza di come brucino in fretta certe vite risucchiate dal risentimento e dall’avidità.Sacha Naspini è scrittore, musicista, cantante e giramondo, forse proprio la contaminazione delle varie suggestioni emotive al quale riesce a dare forma hanno dato vita alla varietà infinita di suggerimenti esistenziali che ci suggerisce questo romanzo.Questa è una storia che sostanzialmente parla di amore e morte, gli argomenti principe di ogni opera letteraria che si rispetti, e ci sono mille modi di coniugare le due tematiche, quando una prevale sull’altra spesso la trama appare compromessa, quando vi è invece un perfetto e originale bilanciamento si assite ad un tripudio si emozioni forti, terribilmente reali e fortemente condivise dal lettore.
I SASSI - Recensione
::27.11.2007 - FONTE - a cura di Mariangela Di Stefano
Uno sconosciuto a Praga. Una prostituta con un nome d' "arte", Eva. Una prestazione che non ha niente a che vedere con il sesso. Ne "I Sassi" (edizioni il foglio), Sacha Naspini racconta magistralmente i suoi personaggi e le storie che ruotano attorno a loro. Un romanzo noir che il lettore non ha difficoltà a seguire nemmeno per un minuto, semmai il vero problema è riuscire a fermare la lettura prima di essere arrivati alla fine. La storia è avvincente e il linguaggio scelto dall'autore, semplice ma efficace, veicola perfettamente le immagini che vengono create sulle pagine del libro. I personaggi sono molti, ma non si fatica a stare dietro a nessuno. Si passa da un'epoca ad un'altra, da un Paese ad un altro, senza mai perdere il filo. Anzi, è proprio questa commistione che rende, mano a mano, tutto più chiaro, anche quando i personaggi narranti sono diversi di capitolo in capitolo. Quello di Naspini è un viaggio che parte da Roma, passa per la Spagna e arriva fino a Praga. Qui quello che è accaduto negli ultimi trent'anni si consuma in una notte densissima di avvenimenti e di colpi di scena. Praga si presta perfettamente al ruolo che ha scelto per lei l'autore. Con le sue atmosfere romantiche e fumose la città della Moldava rende perfettamente il senso di un fitto mistero che viene goccia a goccia e che apre la mente di chi ha deciso di inoltrarsi in questo mondo. In un gioco impietoso e serrato lo sconosciuto e Eva si raccontano le loro vite. Seduti ai due estremi di un tavolo i due parlano come non avevano fatto prima con nessun altro. Vanno avanti fino all'alba senza stanchezza, fino a quando i pezzi del puzzle cominciano a combaciare e tutto diventa più chiaro per entrambi. Eva racconta la sua vita di figlia adottata che non riconosce l'appartenenza alla famiglia che l'ha accolta da bambina. Lo sconosciuto parla invece della sua esistenza di collezionista di pezzi di antiquariato. Genio e sregolatezza per la prima, rischio e affari per il secondo. Entrambi hanno in comune una cosa, la loro compagna di vita è sempre stata la solitudine. Quello di Naspini è un racconto complesso, ma semplice. Un libro che non deve mancare nelle librerie di chi ama leggere e appassionarsi alle storie.
I SASSI - Recensione
::15.11.2007 - FONTE - a cura di Renzo Montagnoli
Intervista:
E’ uscito da poco questo tuo secondo romanzo “ I sassi”. Ce ne vuoi parlare?
“I sassi” mi è venuto giù in una decina di giorni. Era il dicembre del 2005, rientravo fresco da uno dei miei viaggi. Avevo toccato anche Praga, e non lo so che mi ha fatto quella città: è magica, di quelle che ti si piantano dentro, sul serio. Il “caso” volle che trascorsi lì il mio ventinovesimo compleanno. “Ventinove anni” sono una tappa un po’ balorda, almeno per me è stato così, si entra nei “trenta”, e insomma si fanno i classici due conti su un bel po’ di cose… Non lo so, cominciai a pensare che molte “scelte disgraziate” che avevano deciso la mia vita fino a quel momento dipendevano molto da certi buchi neri lasciati dalle persone che in qualche modo, a seconda dei ruoli, avevano popolato la mia esistenza: famiglia, amici, amori… Decisi di scrivere un libro su questo tema. E di affrontarlo dal punto di vista della rabbia, della vendetta. Di quelle stronze. Gli “umori” di Praga si prestavano bene come scenografia. “I sassi” è il risultato.
Per quanto la trama sia propria di un noir, tuttavia questo romanzo presenta caratteristiche, per approfondimenti della psicologia dei personaggi, e anche per il messaggio insito, che lo discosta dalla tipologia della narrativa di genere. E’ stato voluto questo? E se sì, perché?
È vero, “I sassi” si può definire un romanzo noir per motivi strettamente pratici, di identificazione. Ma di fondo resta ben ancorato alla “narrativa pura”, non propriamente di genere. Forse questa è l’intenzione principale. Nel senso che a suo tempo non mi misi davanti al foglio bianco con l’idea di scrivere un noir. Volevo mettere in scena una storia che affrontasse il tema del mutamento, del senso di appartenenza; e non ultima, appunto, la fame di vendetta, che nella storia è in qualche modo “bipolare”, come una questione quasi necessaria; un’assoluzione per sé e per gli altri. Gordiano Lupi rimase piuttosto sconcertato quando ammisi che non avevo letto una riga di Scerbanenco, né conoscevo il cinema di Di Leo. “I sassi” ha avuto da subito vita propria, veniva giù da sé, senza “interferenze” di autori letti o ispirazioni di altro tipo; tutto andava dove volevo senza forzature, l’intreccio si articolava permettendomi gli spazi che cercavo, senza autocelebrazioni e mantenendo la storia indipendente da quelle che in realtà erano le mie urgenze. È tra le cose che mi affascinano di più della scrittura.
Nella tua formazione culturale, c’è qualche autore che più ha contribuito alla stessa?
Ovviamente. Potrei citare Calvino, Fante, Bulgakov, Carver, Salinger, Hesse, Palahniuk, Cassola, Bukowski, Wolff… E tanti ce ne sarebbero da dire.
Progetti, ovviamente letterari, per il futuro?
Dal 2005 ho steso un altro paio di romanzi, adesso in presentazione presso varie case editrici. Inoltre mi “pompo” quasi quotidianamente nella palestra del racconto, è un esercizio importante, permette sperimentazioni di ogni genere, sullo stile, la trama, i ritmi, gli spunti “ironici” delle infinite prospettive da cui si può guardare alla lingua. E quindi alla scrittura. Un po' anche alla vita.
Grazie, Sacha, e, per quanto ovvio, auguri per questo tuo romanzo, che merita veramente, come si potrà anche comprendere leggendo la mia recensione.
Intervista:
E’ uscito da poco questo tuo secondo romanzo “ I sassi”. Ce ne vuoi parlare?
“I sassi” mi è venuto giù in una decina di giorni. Era il dicembre del 2005, rientravo fresco da uno dei miei viaggi. Avevo toccato anche Praga, e non lo so che mi ha fatto quella città: è magica, di quelle che ti si piantano dentro, sul serio. Il “caso” volle che trascorsi lì il mio ventinovesimo compleanno. “Ventinove anni” sono una tappa un po’ balorda, almeno per me è stato così, si entra nei “trenta”, e insomma si fanno i classici due conti su un bel po’ di cose… Non lo so, cominciai a pensare che molte “scelte disgraziate” che avevano deciso la mia vita fino a quel momento dipendevano molto da certi buchi neri lasciati dalle persone che in qualche modo, a seconda dei ruoli, avevano popolato la mia esistenza: famiglia, amici, amori… Decisi di scrivere un libro su questo tema. E di affrontarlo dal punto di vista della rabbia, della vendetta. Di quelle stronze. Gli “umori” di Praga si prestavano bene come scenografia. “I sassi” è il risultato.
Per quanto la trama sia propria di un noir, tuttavia questo romanzo presenta caratteristiche, per approfondimenti della psicologia dei personaggi, e anche per il messaggio insito, che lo discosta dalla tipologia della narrativa di genere. E’ stato voluto questo? E se sì, perché?
È vero, “I sassi” si può definire un romanzo noir per motivi strettamente pratici, di identificazione. Ma di fondo resta ben ancorato alla “narrativa pura”, non propriamente di genere. Forse questa è l’intenzione principale. Nel senso che a suo tempo non mi misi davanti al foglio bianco con l’idea di scrivere un noir. Volevo mettere in scena una storia che affrontasse il tema del mutamento, del senso di appartenenza; e non ultima, appunto, la fame di vendetta, che nella storia è in qualche modo “bipolare”, come una questione quasi necessaria; un’assoluzione per sé e per gli altri. Gordiano Lupi rimase piuttosto sconcertato quando ammisi che non avevo letto una riga di Scerbanenco, né conoscevo il cinema di Di Leo. “I sassi” ha avuto da subito vita propria, veniva giù da sé, senza “interferenze” di autori letti o ispirazioni di altro tipo; tutto andava dove volevo senza forzature, l’intreccio si articolava permettendomi gli spazi che cercavo, senza autocelebrazioni e mantenendo la storia indipendente da quelle che in realtà erano le mie urgenze. È tra le cose che mi affascinano di più della scrittura.
Nella tua formazione culturale, c’è qualche autore che più ha contribuito alla stessa?
Ovviamente. Potrei citare Calvino, Fante, Bulgakov, Carver, Salinger, Hesse, Palahniuk, Cassola, Bukowski, Wolff… E tanti ce ne sarebbero da dire.
Progetti, ovviamente letterari, per il futuro?
Dal 2005 ho steso un altro paio di romanzi, adesso in presentazione presso varie case editrici. Inoltre mi “pompo” quasi quotidianamente nella palestra del racconto, è un esercizio importante, permette sperimentazioni di ogni genere, sullo stile, la trama, i ritmi, gli spunti “ironici” delle infinite prospettive da cui si può guardare alla lingua. E quindi alla scrittura. Un po' anche alla vita.
Grazie, Sacha, e, per quanto ovvio, auguri per questo tuo romanzo, che merita veramente, come si potrà anche comprendere leggendo la mia recensione.
I SASSI - Recensione
::15.11.2007 - FONTE - a cura di Renzo Montagnoli
Spesso si considerano i noir romanzi di pura evasione, ma mai si pensa di associarli ad altri non di genere e che per qualità rientrano di diritto nella buona letteratura. Penso che questa omissione dipenda dal fatto che la trama è spesso, per non dire quasi sempre, l’elemento essenziale dell’opera, mentre altri aspetti, comunque importanti, sono meno curati, quando addirittura trascurati. Non è così per I sassi, di Sacha Naspini, che non voglio considerare un semplice noir, pur essendo presenti tutte le caratteristiche di questo genere, in una storia complessa che se parte lentamente poi accelera gradualmente al punto da tenere letteralmente incollato il lettore. E del resto della vicenda non intendo parlare, di questa storia narrata in epoche alternate e con una conclusione degna di un maestro della penna. Quello che invece mi preme evidenziare è l’aspetto letterario dell’opera, perché c’è qualità, e non poca, nelle 149 pagine di questo romanzo, aspetto tanto più rilevante ove si consideri la giovane età dell’autore, nato nel 1976. Alla base c’è una formazione culturale di tutto rispetto che consente di esprimere concetti non facili con apparente semplicità e mi riferisco in particolare alla figura complessa della protagonista, intorno alla quale è poi costruito l’intero canovaccio. Infatti ci sono alcune pagine che definirei prioritarie per l’opera e sono quelle in cui lei parla di se stessa al suo interlocutore, per il momento sconosciuto, e nelle quali si delinea sapientemente la sua personalità di bimba adottata che sa di non essere la figlia naturale dei genitori legittimi. Questo stato di appartenenza e di non appartenenza alla famiglia che la ospita, la sua proiezione del senso di solitudine sono pagine di autentica elevata letteratura. L’autore ben sapeva che quella parte del libro era determinante per reggere tutta l’impalcatura della vicenda, una sorta di fondamenta, e infatti non ha risparmiato negli elementi di sostegno, con una caratterizzazione di pregevolissima fattura. Mi corre anche l’obbligo di evidenziare come l’atmosfera sia stata oggetto di attento studio e che i risultati al riguardo raggiungano livelli di eccellenza, nonostante le evidenti difficoltà di trattare di epoche diverse, di più luoghi e di situazioni, che, pur concatenate, trovano giustificazione in quanto accaduto anni prima. La vicenda, come ho già detto, è complessa, la protagonista e anche altri personaggi sono complessi, perché in fondo un essere umano è l’unione di tanti elementi, di qualità e di difetti, di atteggiamenti e di intimi convincimenti. In questo senso Naspini ha delineato delle figure vive, reali, che animano, quasi autonomamente dal suo creatore, l’intera trama. Questa quasi assenza dell’autore, che riesce a essere presente senza che ci si accorga, unita alla capacità di fornire indicazioni non elaborate degli ambienti e delle situazioni consente al lettore di avere una visione propria, di sviluppare la sua creatività, facendolo diventare partecipe. Non è un caso, infatti, se la lettura delle prime pagine, essenziali propedeuticamente, è stata lenta, ma poi è tale il senso di progressiva attenzione, quasi una crescente e ossessiva necessità di conoscere, di scoprire, che il testo viene quasi divorato. Non si riesce insomma a staccare gli occhi dal libro, con una fretta e un’ansia di arrivare in fondo, a quella pagina 149 che, girata, e bianca sul retro, ci fa provare il rammarico di essere giunti al termine. Allora interviene una pausa di riflessione e ci si ricorda che c’è ancora qualche cosa da leggere, quella prefazione spesso trascurata e che nel caso specifico porta la firma di Walter Serra. Si tratta solo di una paginetta più qualche riga, dove si trova conferma delle sensazioni e delle emozioni, ancora vive e forti, provate durante la lettura del romanzo. Non c’è un moto di delusione, ma si è contenti di trovare conferma, in altra persona, del giudizio ampiamente positivo. Non è finita, però, perché nel foglio successivo è riportata una frase di Daniele Boccardi che dà tutto il senso all’opera, qualora non fosse stata compresa nella sua globalità: "Un bambino non è mai tutto suo padre. Anche questo è un passo avanti (Genetica)". Leggete questo romanzo e capirete anche perché questa frase non è stata messa lì a caso, tanto per giustificare una pagina in più.
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