lunedì 6 aprile 2009

I SASSI - Recensione

::15.11.2007 - FONTE - a cura di Renzo Montagnoli

Intervista:

E’ uscito da poco questo tuo secondo romanzo “ I sassi”. Ce ne vuoi parlare?
“I sassi” mi è venuto giù in una decina di giorni. Era il dicembre del 2005, rientravo fresco da uno dei miei viaggi. Avevo toccato anche Praga, e non lo so che mi ha fatto quella città: è magica, di quelle che ti si piantano dentro, sul serio. Il “caso” volle che trascorsi lì il mio ventinovesimo compleanno. “Ventinove anni” sono una tappa un po’ balorda, almeno per me è stato così, si entra nei “trenta”, e insomma si fanno i classici due conti su un bel po’ di cose… Non lo so, cominciai a pensare che molte “scelte disgraziate” che avevano deciso la mia vita fino a quel momento dipendevano molto da certi buchi neri lasciati dalle persone che in qualche modo, a seconda dei ruoli, avevano popolato la mia esistenza: famiglia, amici, amori… Decisi di scrivere un libro su questo tema. E di affrontarlo dal punto di vista della rabbia, della vendetta. Di quelle stronze. Gli “umori” di Praga si prestavano bene come scenografia. “I sassi” è il risultato.
Per quanto la trama sia propria di un noir, tuttavia questo romanzo presenta caratteristiche, per approfondimenti della psicologia dei personaggi, e anche per il messaggio insito, che lo discosta dalla tipologia della narrativa di genere. E’ stato voluto questo? E se sì, perché?
È vero, “I sassi” si può definire un romanzo noir per motivi strettamente pratici, di identificazione. Ma di fondo resta ben ancorato alla “narrativa pura”, non propriamente di genere. Forse questa è l’intenzione principale. Nel senso che a suo tempo non mi misi davanti al foglio bianco con l’idea di scrivere un noir. Volevo mettere in scena una storia che affrontasse il tema del mutamento, del senso di appartenenza; e non ultima, appunto, la fame di vendetta, che nella storia è in qualche modo “bipolare”, come una questione quasi necessaria; un’assoluzione per sé e per gli altri. Gordiano Lupi rimase piuttosto sconcertato quando ammisi che non avevo letto una riga di Scerbanenco, né conoscevo il cinema di Di Leo. “I sassi” ha avuto da subito vita propria, veniva giù da sé, senza “interferenze” di autori letti o ispirazioni di altro tipo; tutto andava dove volevo senza forzature, l’intreccio si articolava permettendomi gli spazi che cercavo, senza autocelebrazioni e mantenendo la storia indipendente da quelle che in realtà erano le mie urgenze. È tra le cose che mi affascinano di più della scrittura.
Nella tua formazione culturale, c’è qualche autore che più ha contribuito alla stessa?
Ovviamente. Potrei citare Calvino, Fante, Bulgakov, Carver, Salinger, Hesse, Palahniuk, Cassola, Bukowski, Wolff… E tanti ce ne sarebbero da dire.
Progetti, ovviamente letterari, per il futuro?
Dal 2005 ho steso un altro paio di romanzi, adesso in presentazione presso varie case editrici. Inoltre mi “pompo” quasi quotidianamente nella palestra del racconto, è un esercizio importante, permette sperimentazioni di ogni genere, sullo stile, la trama, i ritmi, gli spunti “ironici” delle infinite prospettive da cui si può guardare alla lingua. E quindi alla scrittura. Un po' anche alla vita.
Grazie, Sacha, e, per quanto ovvio, auguri per questo tuo romanzo, che merita veramente, come si potrà anche comprendere leggendo la mia recensione.

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