martedì 21 aprile 2009

I SASSI - Intervista

FONTE - a cura di Gianluca De Salve

INTERVISTA
Sacha Naspini, scrittore e musicista, è nato a Grosseto nel 1976. Il suo romanzo d’esordio è L’ingrato e sempre nello stesso anno, il 2006, esce il tascabile Il risultato. Suoi racconti appaiono in diverse antologie e ottiene vari riconoscimenti letterari. Lo abbiamo già trovato all’interno del Re-Censore con I sassi ed è proprio con alcune domande su questo romanzo che comincia l’intervista.Possiamo definirlo un noir «on the road»? Sì, anche. Ho costruito una storia che tocca alcuni luoghi a cui sono profondamente legato, Praga tra tutti. I sassi è un po’ il resoconto di alcuni viaggi che ho fatto, tra le cose più belle della scrittura per me c’è questo: vivere i luoghi che racconti. In tutti i miei scritti, ogni luogo è stato visto, vissuto, lo riporto per come mi si è piantato dentro. Le vicende che racconto ne I sassi, poi, rispecchiano un po’ il mio modo di essere, con cui lotto continuamente ma che alla fine non mi dispiace per niente: sempre in «fuga», ovunque, in attesa di un chissà quale colpo di scena finale… Come in una partita a carte? Ho trovato molto originale la tecnica con cui hai portato alla luce le vicende dei personaggi. Come ti è venuta l’idea? Avevo bisogno di un espediente narrativo che mi permettesse (anzi, permettesse al lettore) di far uscire le due storie, restando comunque agganciati all’«ora». Inoltre questa piccola trovata dava modo alle due vicende di mantenere un ritmo costante, un «andante ma non troppo», in preparazione della parte conclusiva. L’idea mi è venuta al volo, I sassi l’ho pensato e steso quasi di getto, in una decina di giorni o poco più. Perché scrivi? Non ne ho la più pallida idea. Mi è sempre «successo», sin da piccolo, se passano dei giorni senza che tocchi carta, mi manca. Raccontare delle storie. È il mestiere più vecchio del mondo, in fondo. Insieme all’altra cosa. Segui un percorso compositivo predefinito nell’elaborazione delle tue opere oppure sono in continuo divenire? Non sono un amante della «scrittura spontanea». Nel senso: quando leggo qualcosa che è stato scritto senza un piano di solito me ne accorgo; mi accorgo che chi scrive va un po’ alla cieca, per così dire, aspetta di farsi sorprendere anch’egli dall’evoluzione della storia. Non è ovviamente una cosa sempre «negativa», a volte escono libri che comunque «tengono la distanza», e poi si tratta solo di un’idea mia. A mio avviso una storia deve essere ben pianificata in precedenza, con tutte le licenze del caso, ovviamente, di cambiare direzione o stravolgere tutto in corso d’opera. Lasciare delle parti «sospese» mi piace, ed è lì che anch’io, nel mio piccolo, mi lascio sorprendere dall’avanzamento. Ma per quanto mi riguarda la trama (comprese le sottotrame) di base deve esserci. Il problema, spesso, se non si scrive seguendo un plot, è di arenarsi, magari alla centesima pagina, ed ecco che hai buttato via giorni di lavoro. Inoltre non amo molto la pagina che «tiene per sé», perché lo stile è agile per esempio, o diverte la gag del momento. L’obiettivo, credo, è quello di pensare una bella storia e scriverla, stando bene attenti alla vanità della scrittura, all’ostentazione del «io so scrivere e ora te lo faccio vedere», e lasciando il giusto al «non detto». Ribadisco che tutto questo è un’idea mia, che magari rivaluterò del tutto, anche domani. Ti sei dimostrato un autore molto versatile, la tua produzione letteraria spazia dai racconti ai romanzi, dalle fiabe al noir, lo consideri un percorso formativo oppure sei sempre alla ricerca di novità con cui confrontarti? Tendo a considerare ogni progetto «a sé stante», non credo che saprei scrivere due volte la stessa cosa. Un altro L’ingrato, per esempio. O un altro I sassi. Mi annoierei, e la scrittura ne risentirebbe. C’è di vero che principalmente devo avere ben chiaro cosa voglio scrivere. In questo periodo sto finendo un thriller per Sered Edizioni, per esempio, L’effetto Kirlian. A dicembre uscirò con un romanzo di narrativa pura per Il Foglio. A febbraio avrò l’onore di essere la prima uscita per Voras Edizioni, una nuova casa editrice molto promettente, con Never Alone. Inoltre sto preparando un romanzo breve che dà sul fantastico per la nuova collana Short-Cut, di Francesco Giubilei, Historica. Sono tutti libri diversi. Dal punto di vista del «genere», dell’impianto narrativo, lo stile. Eppure chi li ha letti afferma che «si sente la stessa mano»… È una cosa che mi intriga da morire. Qual è il racconto o romanzo che ti è costato più «fatica»? Quello a cui sei più legato? Fino ad oggi il più «faticoso» è L’effetto Kirlian, che ho citato sopra. Il direttore editoriale di Sered è persona superpreparata, scova ogni singolo cedimento del testo, e sono costretto a rimuovere parti, riscriverle, adattarle, in continuazione. È tutto un gioco di incastri (essendo un thriller), e incalzanti colpi di scena che sono costretto a dosare, per non correre il rischio di far «sbandare» il lettore. Attualmente sono alla terza stesura, spero la definitiva, o quasi, prima di entrare in «cucina editoriale». Il romanzo a cui sono più legato? Non saprei… Direi tutti, anche se continuo ad avere una personale predilezione per L’ingrato, e I sassi. Ovviamente parlo di quel che è stato pubblicato. Quali sono tra gli autori italiani o stranieri quelli che ti hanno particolarmente influenzato o colpito? Qui potrebbe partire una sfilza di nomi, da Calvino a Fante, da Palahniuk a Pavese passando per Bukowski, Cassola, Maurensig, Carver, Tuena, Pennac, Baricco, Queneau… Gli scrittori che amo di più sono comunque quelli che trasudano umanità, e ovviamente non mi riferisco all’accezione più «buona» del termine. Possiamo quindi dire che, oltre all’importanza di vivere i luoghi che si raccontano, è altrettanto importante viverne i personaggi? Per quanto mi riguarda assolutamente sì. Sono convinto che un buon narratore deve essere affetto da una bella dose di «mitomania» con cui fare i conti. Bisogna vedere, sentire quel che si scrive. Altrimenti è dura farlo vedere agli altri.Qualche altro consiglio per gli aspiranti scrittori? Beh, io mi reputo assolutamente tra questi. Se dovessi dare dei consigli, passerei quelli che ho avuto io, da persone preparate, attente, e più che professionali. Non li sto a ripetere qui, ma credo che tra le prime cose ci sia l’allenamento costante, lo scrivere e riscrivere, studiare, leggere i bei libri e buttare alla trentesima pagina quelli che ti «sporcano», senza esitazione.

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