mercoledì 28 gennaio 2009

Intervista a Sacha Naspini


Romanzo
ISBN 978 – 88 – 7606 – 159 – 2
euro 12,00 – pag. 160
Edizioni Il foglio
www.ilfoglioletterario.it





Intervista a Sacha Naspini a cura di Simonetta De Bartolo:

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Intervista:
D.
Sacha Naspini… Sacha è un bellissimo nome, impegnativo, stando all’etimologia.
E’ importante la scelta degli antroponimi nel contesto di una storia? Dare un nome, piuttosto che un altro, ad un personaggio può influire, in qualche modo, sulla sua realizzazione?
S.N.
Ciao Simonetta, intanto grazie per questa bella opportunità. Sì, a mio avviso la scelta dei nomi è importantissima. C’era qualcuno che diceva (non ricordo assolutamente chi) che un nome può essere il “sigillo” di una vita. Un nome già parla da sé, in qualche modo. Per quanto riguarda il mio, le uniche notizie che ho sono che mia madre un giorno si è ritrovata col pancione, e leggendo un fotoromanzo ha detto: “Sacha, carino. Magari lo chiamo così”, e mi ha marchiato.
D.
Sei autore di musiche e testi, oltrechè “voce” del gruppo, per i “Vaderrando” (http://www.vaderrando.it/).
Ascoltando musica senza parole, la fantasia galoppa più o meno in libertà; il testo e il senso, in particolar modo le singole parole, di una canzone senza sottofondo musicale le fanno, invece, da guida.
L’aspetto fonico di un nome di un personaggio di un racconto o di un romanzo, come per es. Corrado Ascanio nel tuo I sassi (Il Foglio, 2007), ha una qualche importanza?
Il solo pronunciare “il Greco”, uno dei protagonisti de I sassi, sprigiona suspense, come da un nebulizzatore. Effetto desiderato?
S.N.
Sì. Come dicevo prima dare dei nomi opportuni è un po’ come cominciare a costruire l’anima di un personaggio. Mi fa piacere che insisti su questo tema, anche perché ne I sassi uno dei miei obiettivi era quello di affrontare, a mio modo, la questione delle identità. Capire cosa significhi veramente questo termine. Come può essere compromessa un’identità, e come viene letta da fuori, spesso sbagliando totalmente il tiro. La questione fonetica di un nome contribuisce, è evidente. In questo caso la musica per me è un altro modo di avvicinarmi alla parola. Scrivere un testo da musicare non è come scrivere un racconto, o un romanzo. È un altro ambiente, ma offre spunti simili, soprattutto per quanto riguarda il non detto. Nella scrittura bisogna essere bravi; nella musica si è aiutati dalle note, che dilatano le parole. Un la minore messo al posto giusto può stravolgere un significato.
D.
Nel tuo romanzo I sassi hai dato prova di avere delle ottime competenze psicologiche, soprattutto quando hai analizzato il problema adozione attraverso le reazioni e i sentimenti dei genitori adottivi e di Eva.
Qual è la tua opinione sull’adozione?
S.N.
Ogni bambino ha diritto a una possibilità concreta di felicità. Sono a favore di qualsiasi tipo di adozione: a distanza, da parte di coppie gay eccetera. A patto, ovviamente, che ci siano i giusti presupposti che mirino esclusivamente a favore del bambino.
D.
“- Ho sempre amato i libri. Erano l’unica cosa che sapesse distrarmi dal mio segreto” racconta Eva all’uomo con cui sta giocando a carte. La lettura allontana un po’ dalla quotidianità del vivere.
Pensi che possa dipendere dal genere di un’opera? Secondo te, l’horror e il noir distraggono o inducono a riflettere di più su certi aspetti drammatici della realtà?
S.N.
Sono dell’idea che il “nero” di una storia possa facilitare molto la lettura dell’animo umano. Spiando l’uomo dalla prospettiva peggiore, per forza di cose escono allo scoperto tutta una serie di caratteristiche “malate” che nell’ambito della letteratura e del cinema sono un po’ come piccole miniere d’oro per chi ama affrontare la scrittura dalla parte dell’umanità. Per quanto mi riguarda, l’umanità di una storia, è importantissima. Per il resto, certi progetti alla “devo sconvolgere assolutamente” non mi fanno né caldo né freddo. Bello un film che ho visto di recente, per esempio. Fanny games. Tensione dal primo all’ultimo secondo, senza tregua. Apparentemente violenza gratuita, ma con tutto un fondo non da poco. Segnalo inoltre un’altra lettura sconcertante: Le madri nere, di Françaix, edito da Meridiano Zero in Italia.
D.
Hai avuto vari riconoscimenti e premi letterari, tra cui: nel 2005 vincitore del premio nazionale “Canossa – Città di Bazzano”, con il racconto “La vita comincia a quarant’anni”; segnalato al premio “Licurgo Cappelletti”, con il racconto “I ragni”; tra i vincitori del “Premio Boccardi”, con il racconto “Serenity Garden”; finalista, nel 2004, al premio internazionale “Massimo Troisi”, con la favola villana “Marito mio!”.
Con quale spirito di solito partecipi a concorsi letterari?
S.N.
Ai concorsi non partecipo più. Lo facevo prima, per “fare curriculum”, e per confrontarmi. Poi ho visto chi giudica cosa, e soprattutto come. Posso sembrare arrogante, ma giuro che non è così. Diciamo che i concorsi letterari che chiedono la quota e poi ti fanno comprare copie delle antologie (in cui finiscono tutti, senza gradi di merito) non servono a niente, se non a far fare qualche soldo a dei furbetti. Di bei concorsi che possono offrire a un emergente un minimo di visibilità ce ne sono una manciata, o poco più.
D.
Gordiano Lupi, direttore delle Edizioni Il Foglio, ha elogiato la tua scrittura: “Naspini è dotato di una grande facilità di scrittura che gli consente di passare da una narrazione intimista e introspettiva a una storia cruda e noir…” (dalla quarta di copertina).
Hai avuto modo, attraverso la casa editrice, di propagandare il tuo libro? Come?
S.N.
Certo. Il foglio si sta affermando sempre di più nella fascia della media editoria italiana, e questo grazie a Gordiano Lupi e all’attività di tutta la redazione. Il foglio ha un buon ufficio stampa in crescita (con il quale ultimamente collaboro), partecipa a decine di fiere nazionali, organizza presentazioni, ha contatti con numerosi giornalisti e professionisti del settore, fitta presenza nel web… Insomma, non molla l’osso neanche per un momento.
D.
Ne I sassi, storie differenti e interdipendenti, del passato e soprattutto recenti, che hanno luogo in diverse città, formano un tutt’uno omogeneo, che fa formulare al lettore le più svariate ipotesi su fatti e personaggi. Credi che, in un noir, una trama ben articolata sia alla base del successo di un’opera?
S.N.
Sono dell’idea che una trama ben articolata sia alla base di tutti i progetti letterari. La storia, per capirci. Anche un romanzo rosa va saputo scrivere. Gli accadimenti, la scelta dei tempi verbali, lo stile e tutto ciò che fa di un’opera un’Opera, è l’alchimia di molte cose, compresa l’esperienza e la capacità di abbassare al minimo il proprio narcisismo letterario. Poi ci sono quegli approcci di genere che richiedono, effettivamente, maggiore attenzione sulla trama, come il noir, appunto, o il thriller, il giallo. Richiedono una minuzia quasi geometrica.
D.
C’è, quasi sempre, in misura molto varia s’intende, dell’autobiografismo in ciò che viene narrato: schizzi, sapientemente inseriti, di seguito o sparsi qua e là. Controproducenti, in un noir?
S.N.
Be’, sempre dipende da come è fatta una cosa, con quale misura e su che intenzione. Gli schizzi di cui parli a volte sono anche deleteri per il buon funzionamento di una storia. Altre volte invece arricchiscono, ma bisogna farlo con prudenza. Pennellate volanti, senza calcare troppo la mano… Dico in generale. Poi può starci di tutto. Ne I sassi, per esempio, ho infranto un bel po’ di queste regole, seguendo a piede libero le mie “urgenze”, tenendomi al guinzaglio a stento.
D.
La cronaca nera occupa sempre più il campo dell’informazione e preoccupa tantissimo, ma sembra godere del proprio successo e la nostra mente, invece di trovar tranquillità e sicurezza nell’alcova del Rosa, continua a galoppare compiaciuta nel noir. Come mai, secondo te?
S.N.
Perché siamo tutti affascinati dalla parte deviata della mente umana, quella più ingestibile, indecifrabile, di cui non si possono fare pronostici esatti. Spesso coincide con la parte più vera, quella sradicata da fronzoli etici e morali imposti dalla società, dalla religione, dalla famiglia eccetera. Credo che una bella fetta del paradosso sia questa: spiare, mettere il naso su fatti di cronaca nera, è un po’ come confrontare inconsciamente il nostro personale grado di deviazione. Nessuno è “normale”, e questo la dice tutta. Ma esiste una “normalità” che grosso modo accettiamo per quieto vivere, sul metro della quale ci misuriamo. Questo a volte deborda, esplode (specie su certe menti che provengono da imprinting e vite particolari), scatena dei mostri. Sono gli stessi che abbiamo tutti, nella nostra misura, ben nascosti nell’armadio. Poi mettici il lavoro dei giornalisti televisivi, che di ogni stupidaggine lanciano un caso… Ma questo è un altro discorso.
D.
Il titolo che dai ad un tuo lavoro è la lanterna che ti ha fatto da guida o la scritta “traguardo”, dopo un tragitto durante il quale hai raccolto “pietre” che porterai sempre con te?
S.N.
Dipende. A volte (come nel caso di una cosa che sto buttando giù adesso) arrivo in fondo e non ho la più pallida idea di quale possa essere il titolo. Altre, come ne I sassi, è il primo “lampo guida”, su cui stendo il primo plot.
D.
Qual è l’opera di cui Sacha Naspini-scrittore va più fiero? Perché?
S.N.
La risposta è banale: tutte. Il mio approccio alla stesura di un progetto è sempre originale, non vado mai “sull’onda del prima”. L’ho già dichiarato in varie interviste: altrimenti mi annoierei. Non credo che farò un altro “L’ingrato”, per esempio, o un altro “I sassi”. Certo, magari giro attorno a tematiche simili, ma la sperimentazione ci deve essere. Mi hanno ripetuto che può essere un passo falso: chi ha letto una mia cosa e magari ne è rimasto soddisfatto, potrebbe prenderne un’altra aspettandosi qualcosa di simile. Spero che non accada mai. Cioè, spero che chi legge le mie cose possa apprezzare le virate di stile, i vari approcci con le trame e tutto il resto, che non sono mai una copia di qualcosa (di mio) che è già stato pubblicato. Ovviamente “la mano”, quella magari si nota…
D.
Domanda, forse, un po’ indiscreta: un tuo lavoro, già fatto, ma non pubblicato, che pensi di farci conoscere in un prossimo futuro?
S.N.
In questi giorni esce nelle edicole d’Italia “Diario di un Serial Killer” per Sered edizioni (http://www.serededizioni.it/), 30.000 copie di prima stampa. Qui mi posso ricollegare alla domanda precedente, per esempio. Nel senso che questo romanzo, per me, è stato sicuramente il più faticoso. L’editore richiedeva una linea editoriale “popular”, commerciale, per capirci. Mi sono dovuto scontrare con non poche magagne. In questo progetto sono stato tallonato da Dea Salinger. Dea Salinger è lo pseudonimo di una veterana dell’editoria internazionale che in questo caso si è gentilmente “prestata” a questo progetto “fiction”, per Sered. Ha collaborato con riviste italiane di grande privilegio, occupandosi di editing, adattamento e stesura. Enorme la sua esperienza di “cucina editoriale”. In questo caso mi ha guidato a una versione “normalizzata” dell’opera, adattando con assoluto rigore il testo alla linea editoriale richiesta dall’editore (già dal titolo – la prima bozza presentata riportava “L’effetto Kirlian”, opportunamente rivisto per questa collana con quello in prima di copertina), e apportando puntuali variazioni alla trama, in modo da rendere il testo godibile dal grande pubblico. È stato estenuante, lo ammetto. Non avevo mai collaborato con un’altra persona che aveva il potere di fare e disfare, prendendo decisioni fondamentali e ultime. È stata una bella scuola di “bottega”, in cui ho dovuto ammaestrare bei bruciori di stomaco. Alla fine l’editore ha avuto esattamente il progetto che si aspettava di avere. Io forse un po’ meno, diciamo che sono soddisfatto al 70 per cento. Ma mi fido dell’esperienza altrui.
Inoltre a dicembre dovrei uscire con un altro romanzo per Il foglio (di cui stiamo discutendo il titolo).
A marzo ne esce un altro per Voras (http://www.vorasedizioni.it/), Never Alone. Naturalmente, per ulteriori info, chiunque può vedere su http://www.sachanaspini.eu/.