mercoledì 4 novembre 2009

I CARIOLANTI - Recensione a cura di Alessandro Burato


Autore: Sacha Naspini
Elliot Edizioni- pp.gg. 158 – euro 16,00
Io sono un appassionato di romanzi dell' orrore. Il mio problema è che non se ne trovano più. Vedete, a me piace l' orrore viscerale, quello che non si ferma a borghesissime estetiche granguignolesche alla Clive Barker o rarefatte, eteree inquietudini interiori alla Stephen King in pensione. A me piace l'orrore della realtà quotidiana, quello per cui non c'è bisogno di alcuna "sospensione dell'incredulità" ma solo di uno stomaco forte e possibilmente vuoto.

Ecco perché per me, orfano di un capolavoro come "La lunga marcia", questo romanzo di Sacha è una botta di vita. Finalmente situazioni e ambientazioni a cui posso credere, finalmente dei personaggi assolutamente normali eppure così... Forti. Vivi. E in più, l' autore non prova il trucco ruffiano dell' immedesimazione col protagonista, anzi. Non ti chiede mai di odiarlo, disprezzarlo, giustificarlo o capirlo, si limita a *raccontarlo*, per dio.

Ho mangiato il romanzo in 2 ore scarse, appena tornato dal lavoro, e ho ancora fame. Nonostante "I Cariolanti" la fame la tolga, eccome. Sacha non si risparmia nulla. NULLA. Eppure niente è gratuito (vedi l'(omo-)sesso ostentato di Barker) o fine a sé stesso, niente sembra fuori posto. È un libro che ti attira nella trappola con un inizio quasi intimista, con i ricordi di un bambino. E poi, senza che tu riesca a fermarti, scivoli inesorabilmente dentro la buca dei Cariolanti.
E a quel punto, hai voglia a implorare la Madonnaccia.

King dovrebbe leggere questo libro. Forse gli tornerebbe a mente come si faceva a spaventare un fedele lettore.

I CARIOLANTI - Recensione a cura di Giovanni Silletti per PERIODICO ITALIANO


“I Cariolanti” di Sacha Naspini. Storia di follia e decadenza.

I Cariolanti
Autore: Sacha Naspini
Elliot Edizioni- pp.gg. 158 – euro 16,00

«Se non mangio tutto poi arrivano i Cariolanti. Quando li sogno sono in due, un uomo e una donna vestiti male, scavati fino all’osso e con tutti i capelli appiccicati sulla faccia.»

Inizia con queste parole all’insegna del disagio sociale e della decadenza dell’animo umano, l’ultimo romanzo “I Cariolanti“, di Sacha Naspini, pubblicato dalla Elliot Edizioni nella collana Heroes, uscito questo mese in tutte le librerie italiane.
Se nel leggere il resto de “I Cariolanti”, la storia non si dipanasse verso quelle sfumature macabre e paradossali, a cui l’autore ci ha ormai abituati, sembrerebbe di scorgere, nella frase iniziale del suo libro, una velata similitudine coi versi del manifesto decadentista del sonetto “Languore” di Paul Verlain, che ne 1883 recitava riferendosi alla propria persona: « Io sono l’Impero alla fine della decadenza, che guarda passare i grandi Barbari bianchi componendo acrostici indolenti dove danza il languore del sole in uno stile d’oro.» Ma qui non si parla di poesia, né di versi furenti impugnati ai limiti di un’opposizione quasi passiva nei confronti di un malessere sociale ed esistenziale.
Ne “I cariolanti” la rabbia e l’inadeguatezza sociale sono espressioni di violenza delirante, agìta e risvegliata da pulsioni primordiali e dall’istinto di sopravvivenza, una resa dei conti finale e distruttiva con quella parte subcoscente che lo psicanalista Jung chiamava “l’Ombra”.
Il romanzo è ambientato in Toscana nel 1918 verso la fine del primo conflitto mondiale. Un ragazzo di nove anni, Bastiano, vive nascosto con i propri genitori in un buco scavato nel bosco, per sfuggire alla guerra. Per poter saziare i morsi della fame senza uscire allo scoperto, i componenti della famiglia costruiscono sul soffitto una rudimentale trappola per animali, graffiano il terreno alla ricerca di lombrichi, e addirittura arrivano a cibarsi della gamba infetta della donna. Trascorsi parecchi anni, Bastiano, conosce una ragazza di nome Sara, di cui si innamora. All’inizio le cose, sembrano andare bene tra i due, nonostante la fame e gli stenti, ma quando lei si sottrae alle avance del giovane, questi accidentalmente la uccide, e la dà in pasto ai cani. Quando una decina d’anni dopo prenderà parte alla seconda guerra mondiale, Bastiano è un uomo ormai in preda al delirio più sfrenato. Totalmemte soggiogato, ora dalla fame, ora dall’istinto di sopravvivenza, continuerà a uccidere e a redimersi, intrappolato in un’assurda altalena di delitti e afflizioni, in cerca di sé stesso e di redenzione finale.

Scrittore toscano, finalista al premio internazionale Massimo Troisi nel 2004 con il racconto “Marito mio!”, Naspini è autore di romanzi noir, horror e contemporanei, in cui compare prepotentemente il grido di sofferenza psicologica e umana di individui costretti a vivere ai margini della società, eroi “borderland” di un mondo che vive all’ombra del pregiudizio e della grettezza d’animo, come trapela chiaramente nel suo bellissimo romanzo “L’ingrato”, uscito nel 2006.

Giovanni Silletti
PERIODICO ITALIANO: http://tragliscaffali.peri

Per maggiori dettagli, consultare il sito dell’autore al seguente link:
http://www.sachanaspini.eu

Intervista a cura di Alex Pietrogiacomi per Scrittori Precari


Con I Cariolanti (Elliot Edizioni), Sacha Naspini prende il lettore e lo trascina nel famelico mondo di Bastiano. Un gorgo emozionale che prende alla gola e trascina giù, fino all’ultima pagina.

Cos’è per te la fame?

Ci sono persone che vivono tutta la vita con un languorino appeso alla gola, altre che se ne vanno in giro abbastanza satolle di tutto e gli va bene così. Poi c’è quella gente che non gli basta mai, e io penso di far parte di questa categoria. Sono schifosamente curioso, mi piace mettere bocca, naso e mani in qualsiasi pertugio che mi capita a tiro. La fame è quella cosa che fa rompere i giocattoli ai bambini, per vedere come sono fatti dentro. È quando ti metti in bocca una cosa per capire che sapore ha, senza pensare al fatto che potrebbe farti male. È quella cosa che non mi fa stare tranquillo mai, e la reputo una grandissima fortuna. Certo, a volte ti porta davanti a degli strapiombi ripidissimi, perché la fame di cose ti può schiaffare in prima fila sull’osso di una questione dal niente. Può distruggere rapporti, anche, e magari a un certo punto schizzi via con la coda tra le gambe. Ma sempre per tornarci dentro un po’ più corazzato. Sempre. Insomma, per me la fame è quella roba che ho piantata in mezzo alle costole e non so come farla stare zitta un minuto. Proprio senza requie, sempre lì a cercare di darle almeno un nome. Fico, no?

Bastiano è nato in quale antro della tua mente? E perché?

Bastiano è nato da lì, da quel coltellino che scava, e scava… Come del resto ogni singola parola che butto sulla carta, credo. I Cariolanti l’ho scritto con la pancia, la mente guidava quelle due scorie di “mestiere” che ho imparato in questi anni. Me ne sono stato a vena aperta per tutto il tempo, a lasciarmi dissanguare felice e contento. La voceche ne è venuta fuori è una cosa davvero poco pensata, che ho scoperchiato in maniera abbastanza brutale. Il perché è semplice: non potevo fare altrimenti.

Ti sei confrontato con un periodo storico molto distante dal nostro e dal tuo, quali sono stati gli ostacoli e le difficoltà?

Se devo essere sincero, non ho avuto nessuna difficoltà. Il periodo storico in cui si svolge la storia compie un arco che va dalla Prima Guerra alla fine degli anni sessanta, decenni che ho incamerato largamente stando ad ascoltare le storie di mia nonna. Mia nonna è una grandissima raccontatrice di storie. Te le fa vedere. Sin da ragazzino ho avuto cucchiaiate e cucchiaiate di quella roba lì, la sera mi ci addormentavo, tanto che in qualche modo adesso lo sento un periodo mio. La grazia con cui mia nonna tutt’oggi mette un piatto di pasta e fagioli in tavola, mi lascia ancora senza fiato. Parte dalle cose “piccole”, e questo approccio, negli anni, un po’ si è sicuramente radicato anche in me. È difficile che mi disperi per qualcosa di inutile, come per esempio una multa; tendo sempre a ridimensionare l’importanza delle cose secondo un metro che oggi è certamente antiquato, ma a me va bene così. Gli anni delle due guerre, della ricostruzione d’Italia, è un periodo storico che mi ha sempre affascinato moltissimo, soprattutto per gli obblighi – catastrofici – che hanno dovuto affrontare i nostri nonni e bisnonni, che all’epoca avevano molto meno dei miei trentatre anni. La loro vita è capitata al centro di un turbine di eventi pazzeschi, e la loro identità si è costruita lì. Guardata da dei noiosissimi anni ’80, da ragazzino mi faceva quasi rabbia, questa cosa. Quando avevo vent’anni non andava meglio, mi chiedevo: e io che faccio? Certo, non è che avrei preferito imbarcarmi per la campagna di Grecia, ma anche tutto quel vuoto… Tornando alla domanda, gli anni in cui si sviluppa la storia sono anni che ho – non mi vergogno a dirlo – anche un po’ rimpianto. Ho letto moltissimo, visto un casino di film, documentari. Al momento della stesura del libro mi sono semplicemente già trovato in mano le cornici che mi servivano; io le ho prese e ci ho disegnato dentro una cosa.

Il tuo è un romanzo dicotomico che gioca tra un lessico quasi infantile e collodiano e una violenza vitale incontrastata. Come hai coniugato questi due lati?

Lo dicevo sopra: alla fine è una voce spontanea, pensata neanche da lontano. Per me il registro narrativo, l’intonazione con cui si affronta una storia, ha un’importanza enorme. Per certi versi anche più della trama. La voce. Quella di Bastiano è uscita da sé.

Chi sono il padre e la madre per te?

Questa è una domanda tremenda. Il padre e la madre sono due figure orribilmente importanti, che ti possono in parte mangiare la vita, nel bene e nel male, dipende da quale stella vieni giù. I genitori ti possono dare tanto, ma anche togliere tanto. Conosco persone letteralmente schiacciate da padri e madri semplicemente impreparati. Impreparati alla vita in generale, soprattutto, e che rovesciano tutta la loro incapacità sui figli, annientandoli. Il gioco a stabilire le colpe non porta mai a niente. Ma i cicli di rancore che possono scatenarsi sono terrificanti, e originano mostri di grandezza inaudita. Per me, un genitore, dovrebbe essere qualcuno di vagamente risolto, o che nella vita si è posto seriamente delle domande importanti. Perché poi sono le domande a stabilire il calibro di una persona, non tanto le risposte. Le domande che ti poni sono un indizio di quel che potresti riuscire a dare in termini umani, soprattutto a un figlio.

Credi che l’istinto primordiale sia ereditario?

Ho sempre pensato che tutte le persone hanno una loro base ancestrale pura, che poi è quella da cui si dovrebbe sviluppare un’esistenza almeno un pochino in sintonia con le proprie qualità. Il problema è che appena ti becchi quel paio di scapaccioni e ti metti a frignare, cominciano a depositarti roba sulla testa. Un dio, un’educazione sociale, la differenza dei sessi eccetera. È paradossale, ma forse l’urgenza silenziosa di ogni uomo è come quell’uggetta di cui si parlava prima, che ti rosicchia dal fondo, e che magari punta dritta allo smantellare tutto il sudiciume che ti ammucchiano sul cranio dopo il tuo primo strillo. Forse proseguire con gli anni non è costruire, ma scavare. Forse non è andare avanti, ma tornare indietro, alla ricerca di quella specie di strada di casa che avevi quando eri a zero. Ecco, probabilmente a zero c’è l’istinto primordiale. Peccato che debba subito andare perso nel fondo del fondo del fondo della tua botola segreta al primo gne. Allora ci si deve accontentare di sognarlo, ogni tanto.

Ci sono inconsapevoli sensi di colpa che animano Bastiano. Ma la colpa gli appartiene?

Ha la colpa di essere quello che è, un po’ come tutti. Ma il suo imprinting è qualcosa di veramente trasversale, lo spara in mezzo alla gente come una pallottola impazzita, schizzata via da una canna tutta storta, senza una traiettoria definita e prevedibile.

Un uomo dei boschi. Qual è il tuo rapporto con la natura?

Bellissimo, ovviamente. Sono uno che si sporca con la terra, che pesta le pozze. Al mare non porto asciugamani, mi rotolo nella sabbia. Ho un rapporto carnale con tutto, anche con gli animali, fino a quelli più piccoli e schifosi che nessuno vuole toccare, compresi gli uomini. Sono uno che ti abbraccia e ti bacia, che ti parla a un centimetro dal naso. È una cosa che non tutti amano, ma a me piace stuzzicare questi scudi scemi che ha la gente. Perché per me sono scudi scemi. Sulle spiagge ci sono persone che vanno in crisi di panico se due granelli di sabbia invadono il loro stoino. Di solito sono tipi che parlano di Sharm e se li sposti un secondino dal cemento e dalla televisione, chiamano mamma.

A chi hai regalato di più di te nel romanzo?

Certamente a Bastiano, per tutto. Diciamo che ho portato all’ennesima potenza tutte le mie confusioni private, le mie smanie e il senso di rivalsa che provo e con il quale convivo, sopportandolo. Ho preso quel motore lì, l’ho truccato e poi l’ho sparato a tremila. Dopo mi sono sentito mooolto meglio.

Hai lavorato con Massimiliano Governi (l’editor per la narrativa italiana di Elliot e curatore della collana Heroes), che tipo di confronto c’è stato? E come ne sei uscito?

Ne sono uscito con un bel bottino che mi sono portato a casa e che mi rigiro tra le mani tutti giorni. Sul testo – a parte un capitolo che ho inserito successivamente alla presentazione del libro – non ci sono stati molti interventi. Massimiliano Governi ha individuato con minuzia e grande rispetto tutte le rugosità del testo fresco di prima stesura. Per me è stato stupefacente vedere che proprio lui – un anno fa neanche immaginavo lontanamente che un giorno ci avrei lavorato insieme – si entusiasmava e aveva a cuore la perfetta riuscita del libro, in tutto il suo potenziale. Un’esperienza clamorosa, che conto di ripetere al più presto.

Cosa ne sarà ora di Bastiano? Dove si accamperà?

Con un po’ di fortuna è ancora lì che aspetta ciccia per l’inverno, o una bimba bella da tenere là sotto per un po’ come sposa. Attenzione, in questi giorni, mentre andate a funghi.

Alex Pietrogiacomi

martedì 3 novembre 2009

I CARIOLANTI - Recensione a cura di Alex Pietrogiacomi per Gufetto.it


I Cariolanti

Autore: Sacha Naspini
Elliot Edizioni- pp.gg. 158 – euro 16,00- 2009

Fame. E’ il grugnito di quella scrofa chiamata vita. Un verso che spezza il silenzio dei pensieri, che lascia attoniti i sospiri e che divora ogni azione. Fame. Nell’allargarsi delle vocali c’è qualcosa che aspira, che succhia avido dal midollo stesso dell’esistenza. Un rivoltante sapore di nulla che non permette di lasciarsi andare alla contemplazione degli uomini, all’apprendimento dei loro usi, regole, ragioni. Quel gusto privato di odore rende tutto semplice. Vuoto. Colmare. Riempire.

Vuoto. Colmare. Riempire. Come nella buca nel terreno dove tutto comincia, dove per la prima volta Bastiano si sente raccontare dei Cariolanti, che se non mangi tutto ti vengono a prendere e ti portano via per divorarti.
Nel terreno sente i rumori della vita che si smuove attorno a lui, che viene scossa dal tremito dei corpi che muoiono per la guerra del ’18, un conflitto di cui non sa nulla perché il padre, imboscato, non ne parla. Il padre lo tiene rinchiuso con la moglie in quell’angusta fossa, coperta da tavole e sterpi, dove devono accendere il fuoco al coperto, rischiando il soffocamento, dove quando piove l’acqua e il fango invadono i capelli, li sfibrano, come il fisico che non riesce a sostenere i morsi della fame.
E quando arriva l’inverno e le bestie non si possono cacciare con la solita trappola (una lancia appuntita che sfonda il cranio da un foro sottoterra) cosa si mangia? Come si mangia?
La fame. Fa sporcare le unghie nello sforzo di scavare in cerca di una radice, di un verme, di qualsiasi cosa. La fame tramuta “il qualsiasi cosa” in una parte della coscia della madre. Una piccola parte però, quel tanto che basta, magari solo un pezzettino da dividere poi anche con la povera donna che al risveglio, grazie a un cinghiale ucciso, neanche si assaggia.
Da quel momento tutto cambia perché quello che Bastiano vive è una realtà amplificata. Disumana nell’accezione animalesca. È un uomo che ragiona a quattro zampe, che respira con le orecchie dritte le voci dei paesani nel momento in cui il conflitto termina e finalmente si può costruire una casa per abitarla.
Un crudele scherzo della natura umana che non scende a patti con l’evoluzione. Bastiano è questo. Istinto puro trattenuto a fatica dalle regole sociali, istinto legato alla fame ereditata dal padre, uomo pragmatico, essenziale, nudo nella sua terribile presenza, in tutta la sua terribile e lontana presenza è dentro il figlio a spingere contro le pareti delle sue vene per farlo diventare più grande, più uomo, ma senza spiegargli il perché. Senza dimostrazioni d’affetto per quel tardo che si mena l’uccello dietro le siepi.
Ma il retaggio famelico non è soltanto paterno perché la madre nella sua silenziosa coerenza di conservatrice di vita è amorevolmente glaciale nello spiegare al figlio come funziona il mondo. Una donna marziale che insegna anche come si devono toccare le donne, che sacrifica ogni pudore per la carne della sua carne, che vuole appagare quegli occhi giovani che chiedono un pasto di risposte. Madre che addenta la sopravvivenza da ogni lato.
La storia di Bastiano è un incredibile viaggio nell’Italia delle due guerre, nella campagna, tra boschi e branchi di cani, innamoramenti violenti e incoscienti, fughe dalla realtà, da sé stessi , avvinghiati alla bella penna di Sacha Naspini, che mette insieme il passato e il futuro della nostra letteratura con bravura disarmante. Nello stile del trentatreenne autore toscano si ritrova un Collodi privo della fiaba, un realismo moderno che riesce a gettare il lettore in vicende accadute più di novant’anni fa senza creare distanza temporale, senza renderle anacronistiche o passate.
La vita di Bastiano è un tuffo nel vortice della fame e della disperazione umana. Una disperata consapevolezza di essere nato per traverso e di non riuscire a trovare un pasto che sappia saziare quella bocca interiore spalancata che porta il nome del protagonista. Che trancia i tessuti di ogni illusione sporcandoli del sangue e della merda della storia di un uomo.

Voto: 9

In tre righe? Sporco come la faccia di un bambino affamato

Parole di Alex Pietrogiacomi

su gufetto.it

lunedì 2 novembre 2009

REPUBBLICA del 31.10.2009




Segnalazione su REPUBBLICA del 31.10.2009
Almanacco dei Libri

domenica 1 novembre 2009

I CARIOLANTI - Segnalazione sul Corriere di Firenze


28 OTTOBRE 2009 - "I CARIOLANTI" IN TUTTE LE LIBRERIE

28 OTTOBRE 2009 - "I CARIOLANTI" IN TUTTE LE LIBRERIE D'ITALIA


ELLIOT EDIZIONI

COLLANA HEROES
Diretta da Massimiliano Governi

Titolo: I cariolanti
Autore: Naspini Sacha
Editore: Elliot (collana Heroes)
Data di Pubblicazione: 2009
ISBN: 9788861921054
Dettagli: p. 158
Reparto: Narrativa italiana

In anteprima una recensione di Gianfranco Franchi per Lankelot.eu

Drammatica e cannibalica allegoria della sofferenza del popolo italiano nei primi cinquant’anni del secolo scorso, “I Cariolanti” è un’opera letteraria che sprofonda nel male – e dal male lascia discendere e derivare una narrazione viscerale, rabbiosa e violenta, storia di miseria nera e di fame assoluta, di povertà e ignoranza, di straordinaria e incontrovertibile sconfitta del bene, e della speranza. È ambientata in Toscana, ma potevamo tranquillamente ritrovarci tra i poveri braccianti emigrati nelle paludini pontine che così bene ha descritto Guerri nel suo studio sulla stravagante santità di Maria Goretti, “Povera santa, povero assassino”, o in Veneto, o in Abruzzo. La povertà e la grettezza, nelle campagne, erano esattamente le stesse; comprenderle fino in fondo, per noi contemporanei, è davvero difficile. Immaginarle è estremamente faticoso e doloroso al contempo. “I Cariolanti” è una terribile vicenda di umiliazione dell’essere umano, della pietà, e dell’intelligenza, ideata e scritta da un narratore ossessivamente ispirato dai nostri lati oscuri (cfr. “I sassi”), Sacha Naspini da Grosseto, classe 1976, qui al suo esordio nell’editoria mainstream dopo anni di militanza nell’underground: il romanzo è stato pubblicato nella collana Heroes della Elliot, diretta da Massimiliano Governi. Entriamo adesso nel cuore della vicenda…

“Se non mangio tutto poi arrivano i Cariolanti. Quando li sogno sono in due, un uomo e una donna vestiti male, scavati fino all’osso e con tutti i capelli appiccicati sulla faccia. Camminano strascicando i piedi nudi, sporchi di sangue e terra. E dita bitorzolute, e braccia lunghe, anzi lunghissime, fino alle ginocchia. Lunghissime e secche. I Cariolanti si chiamano così perché si tirano dietro un carrettino sgangherato, sopra c’è un lenzuolo che una volta era bianco ma che adesso è tutto zozzo e logoro, pieno di patacche schifose. Da là sotto a volte spuntano dei piedini di bimbo. I Cariolanti hanno sempre fame. Se a cena qualche bimbo viziato non mangia tutto, di notte arrivano loro, ti prendono e ti portano via per mangiarti vivo nella loro tana” (Incipit de “I Cariolanti”, p. 5).

Da qualche parte in Toscana, 1918. Il narratore, Bastiano (nove anni), e i suoi genitori, si sono nascosti e sono convinti di essere introvabili. Vivono in un buco, da quattro anni, sottoterra. Il soffitto è un tavolaccio e qualche trave, nient’altro. Là fuori c’è la Guerra, nessuno deve scoprirli. Altrimenti impiccano il papà, che ha disertato. Sul soffitto c’è un buco, serve per cacciare gli animali, per metterli in trappola e colpirli con una lancia. A volte la trappola funziona. Quando il babbo e la mamma accendono il fuoco il loro piccolo si sente male, s’addormenta oppure dà di stomaco. Il primo nemico è la fame. Ma a volte la caccia va male…

“Io non lo so se hai mai provato la fame quella brutta, quella che neanche ti fa dormire e se per caso ci riesci, non fai che sognare quello: di mangiare. La fame quella che ti fa impazzire, tanto che cominci a guardare il secchio dei bisogni, o scavi con un dito per terra, in mezzo a una fessura delle tavole, alle volte ti capitasse un baco tra le mani. Giuro che ti metteresti in bocca di tutto, se piangi non fai che leccare le mani per sentire il salato” (p. 16).

… e allora in famiglia finiscono per mangiarsi un pezzo della mamma. La coscia. La ferita si infetta. Per quella gamba le cose si metteranno molto male. Finirà amputata. Passa del tempo. Passano anni. Il piccolo adesso porta ogni tanto il suo branco di randagi a riempirsi lo stomaco, forzando le serrature delle gabbie dei polli e dei conigli. A questo punto a narrare la storia, per un po’, è una ragazza di sedici anni, Sara, che scrive il suo diario e parla di un giovane aiutante dello stalliere, Bastiano, che le piace tanto. “La sua famiglia vive nella miseria più nera e lui si deve spaccare la schiena sette giorni su sette, visto che suo padre comincia ad avere un’età e sua madre è malata” (p. 51). I due fanno amicizia, nasce una strana complicità. Passa del tempo. Lui ha 22 anni, suo padre piange. La mamma è morta. Il narratore ricorda che una volta si sono mangiati un neonato, e lei non voleva. Il narratore racconta che con Sara le cose andavano bene, loro due si erano innamorati. Un giorno stavano facendo l’amore, poi lei s’è tirata indietro, lui senza volere le ha fatto male – e l’ha ammazzata – e i suoi cani randagi si sono spartiti il corpo di lei. Passano molti anni. Bastiano – superata la gattabuia, dove impara a leggere e scrivere un po’ – ha 34 anni e sta combattendo, sono i giorni della Seconda Guerra Mondiale. Il nemico è crudele come lui, con la stessa incoscienza. Lui soffre la fame. “L’unica cosa buona che impari dalla guerra è che siamo tutti uguali, se la mia pancia brontola rischio di non arrivare a domani, è un po’ come la tua” (p. 110). Scapperà, verrà ritrovato, ricomincerà a vivere ex novo, cercando di ricostruirsi come niente fosse, dopo nuovi massacri… fermiamoci qua.

***

Quando un artista decide di consegnarsi alla narrazione del male, deve rinunciare – e con difficoltà, e con dolore – ad attenuarlo con artifici e gentilezze; deve avere coraggio di andare fino in fondo, dimentico di sé, dimentico del spirito della nostra specie. Sacha Naspini riesce in questa terribile impresa, e non da ieri, con una facilità abnorme. Si rimane incollati nella lettura di questa mostra delle atrocità e si cerca di resistere all’orrore – è impressionante e difficile a credersi, ma questo libro fa paura: quel sangue è reale, è vivo – cercando infine di trovare un senso. Il senso che io trovo è che mi sembra sia necessario non dimenticare il baratro di pazzia e di morte che hanno affrontato e superato i nostri bisnonni e i nostri nonni, per consegnarci una società più civile e democratica, e un’Italia finalmente estranea alle guerre. Non alla violenza – e questo giustifica ampiamente la vecchiaia di Bastiano (nome verghiano, ma non credo serva glossare…) nell’Italia repubblicana: perfettamente ambientato e perfettamente memore di ciò che è stato, di come è cresciuto, dell’uomo di cui era figlio, del futuro che sempre gli è stato negato.

Scrivere che questo è un bel romanzo non è giusto; ha la bellezza del macabro, dell’orrido, di tutto ciò che è sconcertante: bisogna avere una particolare inclinazione all’orrido per poterci riconoscere bellezza. Ma è un’opera letteraria trascinante, coinvolgente, cupa, buia, morbosa. E – last but not least – è una creazione originale. Pizzicatemi la fonte d’ispirazione, scartando quella immediata ma vaga di “Io non ho paura” di Ammanniti – ché il respiro qui è ben diverso. Ve ne sarò grato.
Gianfranco Franchi per Lankelot.eu

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