domenica 1 novembre 2009

28 OTTOBRE 2009 - "I CARIOLANTI" IN TUTTE LE LIBRERIE

28 OTTOBRE 2009 - "I CARIOLANTI" IN TUTTE LE LIBRERIE D'ITALIA


ELLIOT EDIZIONI

COLLANA HEROES
Diretta da Massimiliano Governi

Titolo: I cariolanti
Autore: Naspini Sacha
Editore: Elliot (collana Heroes)
Data di Pubblicazione: 2009
ISBN: 9788861921054
Dettagli: p. 158
Reparto: Narrativa italiana

In anteprima una recensione di Gianfranco Franchi per Lankelot.eu

Drammatica e cannibalica allegoria della sofferenza del popolo italiano nei primi cinquant’anni del secolo scorso, “I Cariolanti” è un’opera letteraria che sprofonda nel male – e dal male lascia discendere e derivare una narrazione viscerale, rabbiosa e violenta, storia di miseria nera e di fame assoluta, di povertà e ignoranza, di straordinaria e incontrovertibile sconfitta del bene, e della speranza. È ambientata in Toscana, ma potevamo tranquillamente ritrovarci tra i poveri braccianti emigrati nelle paludini pontine che così bene ha descritto Guerri nel suo studio sulla stravagante santità di Maria Goretti, “Povera santa, povero assassino”, o in Veneto, o in Abruzzo. La povertà e la grettezza, nelle campagne, erano esattamente le stesse; comprenderle fino in fondo, per noi contemporanei, è davvero difficile. Immaginarle è estremamente faticoso e doloroso al contempo. “I Cariolanti” è una terribile vicenda di umiliazione dell’essere umano, della pietà, e dell’intelligenza, ideata e scritta da un narratore ossessivamente ispirato dai nostri lati oscuri (cfr. “I sassi”), Sacha Naspini da Grosseto, classe 1976, qui al suo esordio nell’editoria mainstream dopo anni di militanza nell’underground: il romanzo è stato pubblicato nella collana Heroes della Elliot, diretta da Massimiliano Governi. Entriamo adesso nel cuore della vicenda…

“Se non mangio tutto poi arrivano i Cariolanti. Quando li sogno sono in due, un uomo e una donna vestiti male, scavati fino all’osso e con tutti i capelli appiccicati sulla faccia. Camminano strascicando i piedi nudi, sporchi di sangue e terra. E dita bitorzolute, e braccia lunghe, anzi lunghissime, fino alle ginocchia. Lunghissime e secche. I Cariolanti si chiamano così perché si tirano dietro un carrettino sgangherato, sopra c’è un lenzuolo che una volta era bianco ma che adesso è tutto zozzo e logoro, pieno di patacche schifose. Da là sotto a volte spuntano dei piedini di bimbo. I Cariolanti hanno sempre fame. Se a cena qualche bimbo viziato non mangia tutto, di notte arrivano loro, ti prendono e ti portano via per mangiarti vivo nella loro tana” (Incipit de “I Cariolanti”, p. 5).

Da qualche parte in Toscana, 1918. Il narratore, Bastiano (nove anni), e i suoi genitori, si sono nascosti e sono convinti di essere introvabili. Vivono in un buco, da quattro anni, sottoterra. Il soffitto è un tavolaccio e qualche trave, nient’altro. Là fuori c’è la Guerra, nessuno deve scoprirli. Altrimenti impiccano il papà, che ha disertato. Sul soffitto c’è un buco, serve per cacciare gli animali, per metterli in trappola e colpirli con una lancia. A volte la trappola funziona. Quando il babbo e la mamma accendono il fuoco il loro piccolo si sente male, s’addormenta oppure dà di stomaco. Il primo nemico è la fame. Ma a volte la caccia va male…

“Io non lo so se hai mai provato la fame quella brutta, quella che neanche ti fa dormire e se per caso ci riesci, non fai che sognare quello: di mangiare. La fame quella che ti fa impazzire, tanto che cominci a guardare il secchio dei bisogni, o scavi con un dito per terra, in mezzo a una fessura delle tavole, alle volte ti capitasse un baco tra le mani. Giuro che ti metteresti in bocca di tutto, se piangi non fai che leccare le mani per sentire il salato” (p. 16).

… e allora in famiglia finiscono per mangiarsi un pezzo della mamma. La coscia. La ferita si infetta. Per quella gamba le cose si metteranno molto male. Finirà amputata. Passa del tempo. Passano anni. Il piccolo adesso porta ogni tanto il suo branco di randagi a riempirsi lo stomaco, forzando le serrature delle gabbie dei polli e dei conigli. A questo punto a narrare la storia, per un po’, è una ragazza di sedici anni, Sara, che scrive il suo diario e parla di un giovane aiutante dello stalliere, Bastiano, che le piace tanto. “La sua famiglia vive nella miseria più nera e lui si deve spaccare la schiena sette giorni su sette, visto che suo padre comincia ad avere un’età e sua madre è malata” (p. 51). I due fanno amicizia, nasce una strana complicità. Passa del tempo. Lui ha 22 anni, suo padre piange. La mamma è morta. Il narratore ricorda che una volta si sono mangiati un neonato, e lei non voleva. Il narratore racconta che con Sara le cose andavano bene, loro due si erano innamorati. Un giorno stavano facendo l’amore, poi lei s’è tirata indietro, lui senza volere le ha fatto male – e l’ha ammazzata – e i suoi cani randagi si sono spartiti il corpo di lei. Passano molti anni. Bastiano – superata la gattabuia, dove impara a leggere e scrivere un po’ – ha 34 anni e sta combattendo, sono i giorni della Seconda Guerra Mondiale. Il nemico è crudele come lui, con la stessa incoscienza. Lui soffre la fame. “L’unica cosa buona che impari dalla guerra è che siamo tutti uguali, se la mia pancia brontola rischio di non arrivare a domani, è un po’ come la tua” (p. 110). Scapperà, verrà ritrovato, ricomincerà a vivere ex novo, cercando di ricostruirsi come niente fosse, dopo nuovi massacri… fermiamoci qua.

***

Quando un artista decide di consegnarsi alla narrazione del male, deve rinunciare – e con difficoltà, e con dolore – ad attenuarlo con artifici e gentilezze; deve avere coraggio di andare fino in fondo, dimentico di sé, dimentico del spirito della nostra specie. Sacha Naspini riesce in questa terribile impresa, e non da ieri, con una facilità abnorme. Si rimane incollati nella lettura di questa mostra delle atrocità e si cerca di resistere all’orrore – è impressionante e difficile a credersi, ma questo libro fa paura: quel sangue è reale, è vivo – cercando infine di trovare un senso. Il senso che io trovo è che mi sembra sia necessario non dimenticare il baratro di pazzia e di morte che hanno affrontato e superato i nostri bisnonni e i nostri nonni, per consegnarci una società più civile e democratica, e un’Italia finalmente estranea alle guerre. Non alla violenza – e questo giustifica ampiamente la vecchiaia di Bastiano (nome verghiano, ma non credo serva glossare…) nell’Italia repubblicana: perfettamente ambientato e perfettamente memore di ciò che è stato, di come è cresciuto, dell’uomo di cui era figlio, del futuro che sempre gli è stato negato.

Scrivere che questo è un bel romanzo non è giusto; ha la bellezza del macabro, dell’orrido, di tutto ciò che è sconcertante: bisogna avere una particolare inclinazione all’orrido per poterci riconoscere bellezza. Ma è un’opera letteraria trascinante, coinvolgente, cupa, buia, morbosa. E – last but not least – è una creazione originale. Pizzicatemi la fonte d’ispirazione, scartando quella immediata ma vaga di “Io non ho paura” di Ammanniti – ché il respiro qui è ben diverso. Ve ne sarò grato.
Gianfranco Franchi per Lankelot.eu

Il booktrailer ufficiale: http://www.facebook.com/vi

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