mercoledì 18 novembre 2009

lunedì 16 novembre 2009

venerdì 13 novembre 2009

Presentazione de I CAriolanti - 12.11.2009 - Firenze, Libreria Martelli. Con Gabriele Ametrano










Un'intervista per YouLibro.it

Fonte: http://nuke.youlibro.it/LaRedazione/LeIntervistedellaRedazione/tabid/478/Default.aspx

Sacha Naspini

Grosseto, 19 ottobre 1976

La Biografia:

Autore versatile, i cui temi spaziano dall' horror alla narrativa contemporanea (Il risultato, Never alone, Cento per cento). In alcuni casi ricorda in parte la scrittura di Carlo Cassola (L'ingrato), ma in altri lavori si avverte una certa ispirazione noir (I sassi) - quest'ultima opera citata, è stata spesso accostata ad alcune pubblicazioni di Giorgio Scerbanenco. Esordisce definitivamente nel panorama editoriale mainstream nell'ottobre 2009, con il romanzo I cariolanti, per la Elliot edizioni.

Le Opere:

L'intervista:

La Redazione - Partiamo dai Cariolanti? Quali sono state le meditazioni che ti hanno portato a questa storia?


S.N. - I Cariolanti è una storia che mi è venuta giù in circa una settimana. Tra un progetto e l’altro ho come una specie di nausea, sono uno che “soffre” se non ha un soggetto da tirare avanti, a cui fare capo in qualsiasi momento della giornata. All’inizio di quest’anno venivo fuori da un lavoro di fiction per il circuito delle edicole, un lavoro stremante che dovetti chiudere nell’arco di un mese o poco più, partendo da una bozza che avevo. Una volta chiuso quello, è cominciata quell’uggia alla bocca dello stomaco – avevo bisogno di tornare a scrivere qualcosa di mio, senza dover dipendere da troppi occhi esterni, e intorno alla testa c’era già quella nebbia che anticipa ogni cosa che poi butto sulla carta. È una fase bella, in cui mi approccio al foglio bianco quasi pizzicandolo appena, qua e là. Faccio dei segni vaghi, e intanto studio la voce che sta per venire fuori. Per me, la voce che si usa su uno scritto, ha un’importanza enorme, quantomeno al pari della trama – in alcuni casi forse anche di più. Be’, con I Cariolanti il registro narrativo è venuto giù da sé. Da quei vaghi colpetti di pennello, mi sono ritrovato a pagina cento in due minuti. Nessuna grande meditazione preventiva. Semmai veniva tutto in corso d’opera, e quando succede così è strepitoso. Successivamente avevo modo di toccare bene i margini, mettere in piedi un passaggio schiaffato là di fretta, con la smania di andare avanti. Poi ti ritrovi davanti alla parola Fine e ci sbatti contro che neanche te l’aspetti.

La Redazione - I Cariolanti è un libro “bestiale”. So che è difficile giudicare sé stessi e la propria scrittura, possiamo provare?

S.N. - I Cariolanti è la cosa più viscerale che abbia mai scritto. Appena concluso, per un po’ di giorni ho avuto la sensazione di essere letteralmente svuotato, e anche un po’ orfano. Mi succede così solo nei casi in cui sento che il testo ha fatto centro – poi davvero, non sono io che devo entrare nel merito della cosa. Ma la bestialità, appunto – non gratuita, assolutamente –, l’istinto crudo e umano che sentivo e sento là dentro, continua a farmi pensare di aver scritto un buon testo. Una buona storia che valeva la pena di raccontare, con quei colori e quelle luci decise.

La Redazione - Quale rapporto hai con lo scrivere e quando è scattata questa molla verso la pagina scritta?

S.N. - Non è un rapporto bello. Non canto insieme agli angeli, quando scrivo, né mi emoziono se un uccellino si appoggia sulla mia finestra. Scrivo in modo febbricitante e frenetico. Mi serve, non saprei ancora dire bene perché. Mi serve raccontare storie. E via via che vado avanti non è che si fa tutto chiaro, anzi, si incasina sempre di più. Perché scopro nuove corde, e mi prende una fame assurda di metterle in moto al più presto. Ho iniziato a farlo da piccolissimo, forse a sei anni, boh, non ricordo, con le favolette che riscrivevo a modo mio, perché così mi piacevano di più.

La Redazione - Quanto tempo è rimasto nel cassetto il tuo primo romanzo?

S.N. - Il primissimo romanzo che ho scritto è tutt’ora nel cassetto, e direi che sta bene dove sta.

La Redazione - Quanto sono importanti per te eventi quali il Festival della Letteratura di Mantova, Premio letterario Nemo, e questi circuiti in generale.

S.N. - Vado volentieri alle fiere, anche se poi, alla vista di quelle colonne di libri, mi prende un po’ di panico. C’è così tanta gente che scrive, ti dici, e devi essere bravo a non farti prendere dallo scoramento. Sembra che tutti abbiano così tante cose importanti da dire – ovvio, mi ci metto anch’io, dentro. Tutti vogliono dire a tutti che hanno scritto un libro. Sembra che se dici così, poi esisti di più, o qualcosa del genere. Così vai alle rassegne e vedi tutti quei titoli, quei nomi, quelle facce. Dicevo, vado volentieri alle fiere, ma spesso ne vengo fuori un po’ demolito, ecco. Confuso. In un certo modo, quasi spersonalizzato.

Per i premi, non saprei dire bene. All’inizio ho partecipato a diversi, con buoni risultati, ma poi ho smesso. Sono comunque buone occasioni per metterti in gioco, credo.

La Redazione - E un tuo giudizio su Facebook, Myspace, social network etc? Intendo come opportunità per farsi conoscere… e di YouLibro cosa ne pensi?

S.N. - I social network sono dei giochini utili, uno li utilizza un po’ come vuole. Basta avere la precisa cognizione di ciò che si ha per le mani, e avanti popolo, ognuno sceglie per sé cosa farne. Per me sono un modo per stare in contatto con gente che conosco e gente che ho l’opportunità di conoscere in rete. Sono nati dei rapporti stupendi, tra l’altro, con persone che normalmente, senza il web, chissà se avrei mai incontrato.YouLibro. È sicuramente un bel progetto, una bella palestra di confronto, senza dubbio.

La Redazione - Quali criteri hai usato per scegliere l’editore e perché ti sei fidato?

S.N. - I criteri a volte sono stati del tutto casuali e fortuiti, altre volte mi hanno direttamente contattato. Effequ accettò il mio primo progetto, L'ingrato. Ma già ero in contatto con Il Foglio di Gordiano Lupi, con un premio vinto nel 2005, fu a lui che proposi il mio secondo romanzo, I sassi. Poi c'è stata Voras, con Never alone, in questo caso fui contattato direttamente da loro, mi chiesero se avevo qualcosa da proporgli e ce l'avevo. Allo stesso modo è andata con Sered, per il gruppo Sprea, con la fiction di cui parlavo prima; e così per Historica, con Cento per cento. Finché è arrivata Elliot, ad aprile. Appena lessi quella mail di Massimiliano Governi, saltai sulla sedia. Ho stretto con lui e i ragazzi della redazione un rapporto stupendo.

La Redazione - Quante revisioni fai ai tuoi testi prima di sottoporli ad un editore?

S.N. - Da questo punto di vista sono abbastanza veloce. Solitamente, in fase di prima stesura, scrivo “da definitivo”, e alla fine dei giochi, in rilettura, si salva subito almeno il novanta per cento del testo. Spesso, quando invio in valutazione, quello che va in stampa – se ci va – è grossomodo la bozza iniziale.

La Redazione - Prima della pubblicazione, l’editore ti ha proposto un editing?

S.N. - L’editing è d’obbligo, assolutamente. È sempre opportuno che altri occhi rileggano, magari individuando scorie o passaggi a un primo sguardo poco chiari, che possono confondere il lettore portandolo momentaneamente via dalla storia.

La Redazione - Cosa consiglieresti a chi volesse pubblicare un suo romanzo?

S.N. - Di capire sinceramente, con il cuore in mano, se la storia che è stata scritta vale la pena di essere letta. Se non è solo un’operazione di autoerotismo mentale o roba simile. Se c'è una voce bella che vale la pena di conoscere. Insomma, di avere rispetto di un eventuale lettore, anche se è tua sorella. Direi, specialmente se è tua sorella.

La Redazione - Infine i tuoi progetti futuri…

S.N. - Adesso sono in piena promozione con I Cariolanti, all'orizzonte si prospettano belle novità. Anche gli altri libri si stanno muovendo bene, in varie direzioni. Poi sono a buon punto con un nuovo romanzo, che ha per titolo provvisorio “Una storia normale”. Mooolto provvisorio.

mercoledì 11 novembre 2009

lunedì 9 novembre 2009

Perché leggere "I Cariolanti" di Sacha Naspini - a cura di Maria Silvia Avanzato

Perché leggere "I Cariolanti" di Sacha Naspini

Perché è un libro che non si può descrivere in un pugno di righe. Crudo, selvatico, spietato, tenero a suo modo, comico a suo modo, il libro di Sacha è un piccolo gioiello che profuma di antico, di storia, di rabbia e d'amore. O amore negato, a dirla tutta.

Il protagonista "cresce" col lettore: da bambino, a ragazzo, a uomo adulto, ogni capitolo svela qualcosa di lui, è una carrellata veloce nella vita difficile e mai impossibile di un abitante del bosco.

Abitante? Possiamo chiamarlo così? No, perché Bastiano non "abita" nel bosco, ma ci è nascosto. Nascosto assieme al padre e la madre in un rifugio sotterraneo per scampare alle minacce della guerra. Questa guerra vuole il padre di Bastiano arruolato e allora ci si nasconde: fra gli animali, gli alberi, i disperati segreti e le atrocità che può comportare una guerra vista da sottoterra. La fame, la miseria, la necessità di lottare e sporcarsi le mani.

Bastiano, agli esseri umani, preferisce i cani randagi, i cinghiali, le bestie selvatiche della sua Toscana. Trova in quanto lo circonda tutto ciò che gli serve, eccetto una cosa: l'amore. L'amore che conosce in modo maldestro e cupo, affrettato ed esasperato.

E allora partire, combattere, trascendere, diventare tutt'uno con le bestie e col bestiale bisogno di amare, ciascuno alla propria maniera, ciascuno come può.

Sono stata volontariamente telegrafica perché non voglio svelare nulla di un libro che chiede di essere letto e incoraggia a proseguire, pagina dopo pagina. Però posso dirvi cosa mi è rimasto nel cuore, dopo aver letto questa avventura elettrizzante che lascia poco spazio per riprendere fiato: ho pensato "Homo homini lupus".

A parer mio, é la miglior definizione per questo fantastico romanzo che vi auguro di leggere il prima possibile: con la giusta dose di stomaco, senza dimenticarsi del cuore.

Maria Silvia Avanzato

http://www.ibs.it/code/9788861921054/naspini-sacha/cariolanti

giovedì 5 novembre 2009

I CARIOLANTI su CARMILLA ON LINE - a cura di Daniela Bandini


di Daniela Bandini

Sacha Naspini, I cariolanti, ed. Elliot, 2009, pp. 158, € 13,60

I Cariolanti di Sacha Naspini sono creature mitologiche atte a terrorizzare i bambini che disobbediscono ai genitori, che fanno i capricci o che non finiscono tutto quello che hanno nel piatto. Simili a sporchi gnomi, prelevano i monelli per infilarli dentro i loro sudici carretti, facendo fare loro una fine orribile. E' con queste figure di contorno, ma non meno tangibili, che il nostro protagonista Bastiano si trova a convivere. Una convivenza di per sé drammatica, se valutiamo l'impatto psicologico della sua condizione: insieme alla madre e al padre, figure che analizzeremo in seguito, si trova sepolto in un rifugio sotterraneo nel mezzo di un bosco, da essi stessi realizzato per impedire che il capofamiglia possa venire arruolato a forza durante la prima guerra mondiale. Il padre, un imboscato, un vigliacco per la gente.

Questa famiglia vive la sua esistenza nel buco con due uniche ossessioni: non farsi scoprire e trovare da mangiare. Il linguaggio tra loro diventa essenziale, fino alla regressione, mentre si attutiscono quei segnali sensoriali che hanno permesso la sopravvivenza e l'evoluzione dell'homo habilis fino al sapiens. E se per i genitori si tratta comunque di una scelta adulta, per il piccolo Bastiano è quella l'unica realtà conosciuta, mentre i valori di riferimento della sopravvivenza diventeranno ogni giorno più preponderanti. Mangiare, mettere qualcosa nello stomaco, radici, insetti, mosche. Ma anche cadaveri di piccoli bambini nati morti o con gravi malformazioni, che le stesse madri o pietose levatrici, abbandonano.
Diventano predominanti i segnali che giungono dall'udito, dalla vista anche notturna, dall'orientamento. E sempre meno quelli del linguaggio, fino alla consapevolezza per il piccolo Bastiano di appartenere a una razza a sé, estranea alla sua contemporaneità. Fino a essere trattato dal padre come un utile idiota capace di lavorare duro e senza lamentarsi, come si richiede a un sottoposto.
Il padre è violento, codardo, subdolo, opportunista, e la madre vittima è, suo malgrado, complice di questo orrore. La madre, portatrice di un terribile segreto, una donna capace di tenere un diario e di esprimere sentimenti elevati e nobili, pieni di speranze, di aspirazioni, di discernimenti, e altrettanto capace di uccidere implacabilmente per gelosia. Una donna che scrive, lacerata dal rimpianto di una scelta che ritiene sacrosanta, che trova il riscatto della sua condizione in un'altra vita da lei stessa concepita. Una donna sensibile capace di sfumature, ma che non esita a offrire una parte del proprio corpo, una porzione della coscia, per sfamare la sua famiglia. La setticemia, l'infezione che ne segnerà per sempre gli ultimi anni, la porteranno alla morte.
Il padre? Violento, prende a cinghiate per un nonnulla il figlio, detesta quei cambiamenti fisici che l'inevitabile maturità sessuale comporta: egli vede in lui il rivale. Un rivale idiota, come viene trattato, ma apparentemente docile e ubbidiente, violento quando serve, in perfetta simbiosi con il territorio, il bosco. Il ragazzo conosce tutti i segnali di questo ambiente, è imbattibile nel procedere senza fare nessun rumore, nelle marce chilometriche, nel reperire prede, riconoscere gli animali, i sensi perennemente allertati. I contatti con i suoi simili saranno fugaci e indirizzati unicamente dal profitto che il suo lavoro gli procurerà.
Le regole di questi contatti saranno quelle apprese nel bosco: accoppiamento, mascheramento, segretezza, individualismo. Si potrebbe anche dire che a predominare sia l'istinto, ma quando si parla di uomini si parla forzatamente di condizioni singole e culturali. Bastiano è un bel ragazzo, una cosa che non capisce bene ma sa che produce emozioni particolari nel sesso femminile. Impara a leggere per conto suo, ma ciò non gli permette di superare o di affinare la sua etica. Un selvaggio, insomma, che genererà tanto orrore quanto quello ricevuto.
Questo romanzo colpisce sia per l'originalità della trama, notevole, sia per l'evidente desiderio da parte dell'autore di approfondire la psiche di una persona traumatizzata, preda di una dissociazione morale costante e degenerativa. E del paradosso dell’emulazione: l'anti-etica per antonomasia, l'autoassoluzione da ogni peccato, quell’ “onora il padre” complice di ogni atrocità, storica e personale. “Onora il padre” come giustificazione della violenza “necessaria”, che richiama il sangue. E’ la vendetta postuma demandata al figlio, sono i valori del patriottismo e della difesa del territorio, della razza, della progenie, dell'onore. E' il riscatto contadino che nasce dalla sofferenza e dalla fatica quotidiana, dalle privazioni che sono anche motivo di orgoglio, del tanto a me quanto a te.
Bastiano rielabora la sua vita e la reimposta sulle uniche tracce che conosce con certezza: le orme, fisiche e psichiche, di colui che le ha tracciate. La madre lo ha partorito, ma il padre lo ha generato.
Un romanzo che fa riflettere, molto seriamente, sulla faticosa necessità di emanciparsi dalla propria cultura, dal proprio condizionamento familiare, e su come fragili personalità riescano a identificarsi solamente nei loro aguzzini, e MAI nelle vittime.

Daniela Bandini per Carmilla on line