“Per tutti questi anni ho sempre pensato a cosa succede quando un ragazzo diventa un uomo. Nella mia testa immaginavo una cosa che si modifica lentamente, giorno dopo giorno. Invece non è così: si può cambiare in un momento, basta un attimo. O sei colpi di pistola.” (p.71)
Ruben e Art: due ragazzini, amici inseparabili da sempre, quasi due facce di una stessa medaglia.
Ruben è rosso di capelli, l’aspetto da tontolone, ha un carattere più debole, è pauroso, disadattato, passa ore a casa di Art a guardare e riguardare i disegni dell’amico, i ritratti che gli ha fatto.
Art sembra essere il leader tra i due, è più astuto e sa dissimulare e sa mentire, ma è anche lui vittima del bullismo che regna nella scuola.
Siamo a Brighton, ma potremmo essere in qualunque altra città dal tessuto sociale degradato, dove nulla conta se non la legge del più forte.
I due ragazzi vivono un rapporto molto esclusivo, chiuso, di reciproca dipendenza e non alieno da forme di gelosia.
Non hanno figure di riferimento: né genitori, distratti o corrotti, né insegnanti, scialbi e insignificanti, né la noiosa psicologa dalla quale Ruben si reca.
Sono soli.
Art e Ruben sono due ragazzini già avviati sulla via del teppismo. Vittime dei bulli della scuola, sfogano le loro frustrazioni su chi è più debole di loro (il gatto dell’anziano vicino di casa ad esempio) e pensano a farla franca, privi di discernimento tra bene e male.
Un giorno Art s’impossessa della pistola del padre e…..le cose sono destinate a cambiare.
Sparare è liberatorio, sparare è bello, sparare fa sentire adulti e potenti.
“…quella pistola può aiutarmi a farmi vedere chi sono veramente, ecco” (p.68) dice Ruben. E Art: “Al pensiero di dare la pistola di mio padre al mio amico mi coglie qualcosa, come se dovessi separarmi da un pezzo d’anima, rischio di tornare quello di prima e la cosa non mi piace affatto”. (p.68)
Crescere in una realtà sociale disgregata e violenta significa, per i due amici, avere potere sugli altri, incutere timore, decidere della vita e della morte.
La figura di riferimento in questo caso diventa la pistola, oggetto magico, feticcio dal fascino ineludibile.
La trama, che non è lecito svelare, avrà risvolti inaspettati, ma sarà sempre avvincente, tanto che risulta difficile staccarsi dal libro.
Né noir in senso stretto, né analisi sociologica – la realtà urbana è delineata con rapide pennellate – “Never Alone” ha il pregio indiscutibile di esser scritto bene, in uno stile nitido e pulito.
Il romanzo è costruito a capitoli nei quali s’alternano i punti di vista di Art e di Ruben, come se una telecamera inquadrasse nel dettaglio ora l’uno ora l’altro e il risultato è di vivacità e di completezza.
I dialoghi occupano il giusto spazio senza eccedere e soprattutto, pur collocandosi in un contesto così degradato, non scendono mai nel turpiloquio.
Naspini sa scrivere e sa proporre lo stesso il senso del rapporto tra Art e Ruben, le loro discussioni, i loro ragionamenti di ragazzini abituati alla sopraffazione e alla violenza, legati indissolubilmente in una spirale distruttiva.
per http://www.lankelot.eu/index.php/2009/05/19/naspini-sacha-never-alone/